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Lo Stato islamico in Libia lo combattono i libici e le forze speciali occidentali

Lo Stato islamico non è più a Derna: i baghdadisti sono stati cacciati definitivamente dalla città per mano dei soldati del Consiglio della Shura dei mujaheddin, una realtà islamista composta da varie fazioni, tra cui la qaedista Ansar al Sharia e altri gruppi salafiti legati all’ex governo tripolino.

PERDERE DERNA

È uno notizia importante, perché significa che in questo momento al Califfato in Libia resta il controllo soltanto di Sirte, e di alcuni hotspot sparsi per il paese: questo non significa che lo Stato islamico non è più una minaccia, ma semplicemente che ha un’estensione territoriale più limitata, ed è dunque più facile da colpire; da Sirte a Derna ci sono circa 850 chilometri e pensare al gruppo spalmato su un areale così vasto, dà il valore di quanto sia importante ogni passo indietro.

IL PESO SIMBOLICO

Tanto più se si valuta il valore simbolico che si porta dietro perdere Derna (perdere per il momento, perché probabilmente i baghdadisti riattaccheranno, e la ri-presa del territorio sarà rallentata dai soliti ordigni con cui gli uomini di Abu Bakr al Baghdadi infestano tutto ciò che lasciano). La città lungo la costa orientale della Libia è stato il primo punto di attecchimento dell’IS: uomini mandati direttamente dalla Siria, appartenenti ad una brigata strategica che prende il nome di al Battar (composta da libici, tunisini e foriegn fighters europei) arrivarono a Derna nel 2014 per piantare i presupposti militari e culturali necessari per favorire l’espansione delle dinamiche del Califfato; da lì furono poi scacciati parzialmente la scorsa estate, creando la roccaforte di Sirte. Ogni sconfitta per lo Stato islamico è un duro colpo, soprattutto quelle più simboliche, perché la forza del gruppo è strettamente legata alla sua propaganda e alle sue manifestazioni di invincibilità divina.

ASPETTI STRATEGICI

Perdere Derna, perdere territorio, assume ancora più valore se si pensa che a metà strada di quegli ottocento chilometri c’è Bengasi, altra città strategica. Là i baghdadisti controllano soltanto un’area (altre sono in mano a fazioni nemiche che fanno capo alle milizie tripoline), ma stanno subendo colpi durissimi da parte dell’esercito di Tobruk, guidato da Khalifa Haftar. Dalla Cirenaica gli uomini di Haftar rivendicano di aver partecipato anche agli scontri di Derna, anzi, di aver favorito con i loro raid aerei la vittoria dei miliziani della Shura, i quali però dichiarano di aver fatto tutto da soli, anzi, schivando le bombe di Haftar che voleva “colpirli come solito” (il generale s’è intestato due anni fa una battaglia di liberazione denominata Operazione Dignità, sostenuta dallo pseudo esecutivo di Tobruk, contro le forze islamiste, e per questo combatte indistintamente chiunque non sia suo alleato, tripolini o Stato islamico senza differenze). A Bengasi, sulla base di alcune informazioni pubblicate su vari media, ci sarebbero anche uomini delle forze speciali francesi, inglesi, e americane; e secondo il Foglio, anche un modesto contingente di italiani. Questi soldati starebbero aiutando Haftar.

OPERAZIONI DISCRETE, NIENTE GRANDE MISSIONE INTERNAZIONALE

Mentre il governo di Fayez Serraj, sostenuto dall’Onu e dalla Comunità internazionale, s’è insediato a Tripoli e fatica a guadagnare l’avallo definitivo dal parlamento legittimato, in esilio a Tobruk (nonostante i notabili europei e americani siano impegnati nel pubblico raccomandarsi affinché arrivi il voto che dà definitivo via libera a Serraj; la seduta è saltata di nuovo lunedì), sul lato est proseguono i combattimenti. L’intervento armato occidentale, di cui tanto s’è parlato nei mesi passati, sembra essersi congelato: ora l’UE avanza l’ipotesi di addestrare qualche guardia costiera libica per insegnare loro le procedure sul come far fronte all’emergenza immigrazione, mentre si fa sempre più largo un programma più discreto e mirato diretto contro lo Stato islamico. Operazioni affidate alle forze speciali e all’intelligence, che già si trovano sul terreno. Il Times della domenica è uscito con un articolo che raccontava della presenza di almeno cento operatori inglesi SAS già in Libia, e la questione ha aperto il dibattito politico, contro David Cameron già alle corde per la questione Panama Papers; il giornale dice che tra le altre cose i soldati e gli agenti dei servizi inglesi e americani si portano dietro “valigie piene di soldi” per comprarsi la fiducia delle milizie tribali locali. A fine febbraio, dopo che già il Figaro aveva fatto rivelazioni a proposito due mesi prima, il Monde ha pubblicato un articolo in cui raccontava la guerra segreta che le forze speciali francesi stanno facendo in Libia (lato Haftar): linea sempre più consolidata, considerando che ad inizio aprile il ministro degli Esteri Jean-Marc Ayrault ha detto che non ci sarà nessun grande intervento in Libia. A inizio marzo, il Corriere della Sera e il Sole 24 Ore hanno rivelato la presenza di 50 uomini del 9 Reggimento d’assalto Col Moschin già sul suolo libico, coadiuvati da tre squadre dei servizi segreti italiani. Infine il 15 aprile fonti raccolte da Daniele Raineri del Foglio hanno raccontato di un riunione di alto livello svoltasi a Roma “non lontano da Via Veneto” (ossia, vicino all’ambasciata americana) tra comandati militari e funzionari dei servizi segreti di Italia, Stati Uniti, Inghilterra e Francia, per decidere sul piano in Libia.

L’analista italiano Mattia Toaldo aveva spiegato a Formiche.net che Serraj per il momento non ha intenzione di richiedere un intervento militare molto muscoloso e vistoso in Libia: prima dovrà risolvere i problemi dei libici, ossia quelli economici, per necessità e per accaparrarsi il consenso dei libici. Per combattere lo Stato islamico pare difficile che per il momento scelga di avere un set militare occidentale alle sue spalle, meglio operazione meno appariscenti e più mirate.

 

 



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