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Giuseppe De Giorgi, la Legge Navale e le ipocrisie

Presentazione libro di Roberto Race 2013, Giuseppe De Giorgi, Mauro Del Vecchio e Roberto Race

Riceviamo e pubblichiamo

Pochi spettacoli sono squallidi come la demolizione dell’ammiraglio Giuseppe De Giorgi a colpi di dossier anonimi, puntualmente rimbalzati su quotidiani o telegiornali con tanto di riproduzioni di documenti originali con commenti autografi. Zibaldoni confezionati con i peggiori esempi del pettegolezzo di caserma, ai quali mancano soltanto le insinuazioni sulle virtù familiari con le quali una volta si consolavano i soldati di leva impegnati a contare i giorni mancanti all’alba.

Uno squallore tanto più grande in quanto nell’ambiente militare pregi e difetti dell’uomo sono noti da sempre, senza che nessuno abbia osato sfidarlo apertamente. Tanto fedele alla Marina da creare spaccature con le altre forze armate, tanto leader da sfiorare la concezione divina del potere, tanto convinto delle proprie ragioni da sembrare autoreferenziale. Basta scorrere le cronache per trovare De Giorgi che ordina di avere sempre a bordo “idonea bottiglia di spumante/champagne tenuta in fresco in riposto Ufficiali, nonché biscotti al burro e mandorle da tostare al momento” (ottobre 2012), che accusa i parlamentari di SEL di “malafede” per un’interrogazione sul periplo d’Africa della Cavour (novembre 2013), che trasferisce incursori per un atto di goliardia (giugno 2014) e così via. Piaccia o meno, l’uomo è questo e chi oggi fa mostra di stupirsi è cieco o in malafede.

Allo squallore si accompagna una robusta dose d’ipocrisia. Perché, al di là di ogni considerazione sul suo stile di comando, non si riesce a capire in cosa consisterebbe l’abuso d’ufficio di De Giorgi. Promuovere il potenziamento della propria forza armata è precisamente il compito dei capi di Stato Maggiore, che a questo scopo possono – anzi debbono – mantenere ampi rapporti e relazioni con ambienti politici, industriali, giornalistici.

Come spesso accade, lo scandalo costruito sul nulla finisce per far perdere di vista la vera questione. La legge navale da 5,4 miliardi di euro era necessaria? O meglio, era necessario l’aumento di oltre un terzo il tonnellaggio totale delle navi, finanziato riducendo le risorse di Esercito e Aeronautica per garantire l’invarianza di bilancio? Bisognava sostituire fregate da 3.000 t con altre da 6.000? Bisognava sostituire le navi logistiche da 8.700 t con altre da 22.000, quasi due volte l’incrociatore portaeromobili “Garibaldi” e in grado di ospitare caccia F-35? Serviva una flotta con capacità e ambizioni oceaniche a pochi mesi da un Libro Bianco che ne avrebbe definito l’ambito operativo come “euro-mediterraneo”?

Perché è questo il disegno che oggi si accusa De Giorgi di aver portato avanti. Un disegno che non è stato inventato da lui il 31 gennaio 2013, all’atto di succedere a Luigi Binelli Mantelli al vertice della Marina, ma che negli ambienti navali vanta una tradizione tanto robusta e trasparente quanto poco condivisa dal resto del mondo della difesa. La domanda da porsi è dunque perché quando si discuteva della legge navale gli attuali critici dell’ammiraglio non si siano battuti a viso aperto contro la sua visione marittimo-centrica della difesa. Perché se l’esigenza è reale, De Giorgi non ha abusato del suo ufficio ma va ringraziato per quanto ha fatto. Se l’esigenza non è reale, sono in molti a spiegare quello che sarebbe un colossale sperpero di denaro pubblico.



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