Lo sciopero di mercoledì 20 aprile deve riuscire per dare ancor più forza al sindacato metalmeccanico che nelle ultime settimane ha svolto con esito egregio attivi regionali, assemblee nei luoghi di lavoro, manifestazioni pubbliche. Il messaggio è passato bene tra i lavoratori e questo risultato ci ha confortato: va salvaguardato il contratto nazionale per riuscire a rinnovarlo con reciproca soddisfazione delle parti.
Questa enunciazione per noi significa prima di tutto rimuovere il macigno che pesa sulla questione salariale. Il problema deriva proprio da quel salario minimo di garanzia, così come ci è stato proposto dalle controparti. che a nostro giudizio non permetterebbe di erogare aumenti a livello nazionale ed allineerebbe le retribuzioni al di sotto del minimo suddetto, per concentrare gli incrementi in busta paga solo con la contrattazione aziendale. In questo modo, gli aumenti erogati dal livello nazionale riguarderebbero solo il cinque per cento dell’intera platea interessata dal rinnovo contrattuale.
Una condizione inaccettabile. Federmeccanica ed Assistal devono rivedere prima di ogni cosa questa posizione che garantisce esclusivamente loro. La proposta delle imprese, presentata il 22 dicembre, è rimasta sostanzialmente invariata: nel 2016 nessun aumento salariale per assorbire quei 74 euro in più erogati nello scorso triennio. Dal luglio 2017, invece, è previsto un aumento di 37,31 euro al mese in busta paga ma solo per chi è sotto il minimo di garanzia come elemento perequativo. Per gli anni successivi gli industriali si impegnano ad aggiornare i minimi contrattuali sulla base dell’inflazione Istat. Di fatto, al di là degli spot, per circa vent’anni il 95% dei lavoratori metalmeccanici non riceverebbe alcun aumento contrattuale dal primo livello di contrattazione.
Bastano queste parole per determinare la fondatezza delle ragioni a supporto dello sciopero nazionale di quattro ore proclamato per mercoledì prossimo. Non stigmatizziamo, ma condividiamo le parole del presidente di Federmeccanica, Fabio Storchi, quando non giudica come negativo il ricompattamento del sindacato metalmeccanico, perché “in passato le divisioni hanno rappresentato un problema per tutti”. Tenendo conto che, nonostante le divisioni tra noi, Fim e Uilm hanno rinnovato senza un’ora di sciopero gli ultimi due contratti nazionali, il leader degli imprenditori metalmeccanici ha proprio ragione. Questo contratto non potrà essere rinnovato questa volta senza la completa unità di Fim, Fiom e Uilm. Ma se sarà così, è evidente che le condizioni di rinnovo non potranno certo essere quelle finora prospettate da Federmeccanica ed Assistal.
La buona riuscita dello sciopero del 20 pv non potrà che rendere ancor più determinante la posizione del sindacato metalmeccanico nel negoziato contrattuale in questione. Il problema, quindi, non è tra noi. Lo intravediamo, piuttosto, nel ruolo che gli imprenditori metalmeccanici hanno provato ad attuare nell’ultimo semestre di negoziazione: Federmeccanica ed Assistal hanno scientemente messo in discussione quel sistema partecipativo che prevede accordi bilaterali per influire sul sistema contrattuale. Non ci hanno nemmeno contestato il fatto che abbiamo proclamato lo sciopero entro aprile, anziché aspettare gli esatti termini della fine della moratoria inerente le manifestazioni di astensione dal lavoro (previsti per il 2 maggio, ndr), proprio perché le precedenti regole contrattuali per loro non rappresentano più nulla.
Nell’assenza di nuove regole contrattuali, determinate in sede confederale, gli imprenditori hanno rifiutato le precedenti, utili a rinnovare in questi mesi contratti come quello dei chimici e degli alimentaristi, per tentare di imporre in modo unilaterale una riforma contrattuale nel nostro settore che poi valesse per tutti. Il tentativo finora è stato sventato, ma sarà completamente archiviato solo quando riusciremo a rinnovare il nostro Ccnl a condizioni e contenuti diversi da quelli finora prospettati dalla controparte. Dobbiamo riuscirci, perché i lavoratori metalmeccanici lo meritano, dopo aver pagato duramente gli effetti di una lunga crisi economica e perché siamo un sindacato che sa come far valere le buone ragioni del lavoro.
A questo proposito, proprio perché ci reputiamo un’organizzazione sindacale che crede nei valori del lavoro e dell’impresa, dobbiamo ritornare a criticare le parole del Presidente del Consiglio, che in un’occasione pubblica ha generalizzato il ruolo del sindacato, non distinguendo, dal punto di vista storico, comportamenti e responsabilità delle organizzazioni sindacali riformiste da quelle antagoniste, nell’ambito delle vicende di Fca. In particolar modo, nel caso in questione, è risultato deviante dividere il ruolo dell’azienda rispetto alle scelte compiute da quei sindacati che hanno creduto ed investito nella missione produttiva del gruppo guidato da Sergio Marchionne e John Elkann all’interno dei confini nazionali. Si è trattato di una scelta condivisa, partecipata e vinta nonostante la perdurante ostilità registrata proprio nel medesimo ambito sindacale ed appoggiata da molti “poteri forti” presenti nell’opinione pubblica.
Al premier che guida l’Esecutivo è giusto ricordare che ha diffuso un messaggio sbagliato e fuorviante, incoerente con l’agire di un governo che si dichiara innovatore,riformatore e rispettoso del merito e delle capacità di singoli e persone unite dal vincolo associativo.
La Uilm ha avuto il merito e la capacità di condividere intese ed accordi riguardanti singoli siti produttivi del succitato gruppo automobilistico a partire dal 2010, come dimostra la vicenda che ha caratterizzato lo stabilimento di Pomigliano d’Arco, per poi estendersi a Mirafiori e a tutti gli altri siti. La Uilm è stata tra i sindacati firmatari dei contratti nazionali specifici con Fca e CnhI: una determinazione che ha comportato l’onore di aver contribuito a nuove produzione ed occupazione, ma anche l’onere della lotta ad antagonismi contrari.
Non si può fare di ogni erba un fascio causando un oggettivo danno alla nostra storia sindacale e alle recenti scelte compiute.
È un errore, proprio quando il governo vive momenti di fibrillazione e difficoltà oggettive, attaccare ruolo e funzioni del sindacato. È sbagliato in genere demonizzare le realtà intermedie, perché, a partire dal sindacato, rappresentano un pezzo della democrazia in Italia.
Se si vuole davvero rinnovare il Paese, si deve partire da qui, riconoscendo l’importanza cruciale del ruolo d’intermediazione del sindacato, un’organizzazione responsabile che firma intese industriali e contratti collettivi per il bene del Paese e di chi ci lavora. Per farlo però, occorre fare anche lo sciopero. Rappresentiamo un pezzo della democrazia in Italia e siamo pienamente in grado di svolgere con determinazione entrambi le azioni succitate, come dimostreremo con successo nei giorni a venire.