Quello che avevamo previsto è accaduto. Federmeccanica ed Assistal hanno convocato Fim, Fiom, Uilm in Confindustria per venerdì 6 maggio alle ore 10.30. All’ordine del giorno la ripresa della trattativa per il rinnovo del Ccnl di settore, interrotta lo scorso 24 marzo. Si tratta di un appuntamento importante.
La convocazione è il primo atto ufficiale tra le parti dopo lo sciopero generale dei metalmeccanici che è stato un successo. Un fiume di bandiere con le insegne di Uilm, Fiom e Fim ha occupato strade, piazze, larghi di oltre cento realtà italiane. Mercoledì 20 aprile, al primo turno di lavoro, si è astenuto dal lavoro più del 75% degli addetti metalmeccanici ed il dato, diffuso da Federmeccanica, che tenta di ridimensionare quella percentuale al 24,6%, non fa che rafforzare la riuscita dello sciopero. Occorre, ora evitare di polemizzare sulle cifre, ma bisogna al più presto ritrovare la via del negoziato per il rinnovo del Ccnl di settore scaduto lo scorso 31 dicembre, ripartendo dal punto dove il confronto si era interrotto. Gli imprenditori metalmeccanici devono rivedere la proposta contrattuale che ci hanno finora presentato e riproposto anche prima e dopo la nostra mobilitazione.
Quel testo così com’è non va, a partire dalla questione salariale. Federmeccanica ed Assistal hanno il dovere di riformulare la proposta in questione, perché lo chiedono i sindacati, i lavoratori che hanno scioperato, l’economia dello stesso Paese. Le principali autorità istituzionali del settore bancario in Italia ed Europa, solo per fare un esempio, da tempo sostengono che per aiutare la ripresa occorra incrementare i salari, una scelta utile per l’aumento dei consumi e da affiancare ad una concreta politica degli investimenti.
Ignazio Visco e Mario Draghi, governatori della Banca d’Italia e della Banca Centrale Europea, non hanno dubbi: per evitare avvitamenti deflazionistici occorre allo stesso tempo rinunciare a generalizzate riduzioni degli aumenti retributivi. E’ quello che anche noi sosteniamo da mesi ed è da circa un semestre che siamo impegnati nel confronto con la controparte. Il segnale giunto dallo sciopero non lascia spazio a dubbi. Il contratto si fa se ci saranno adeguati aumenti retributivi attraverso il primo livello di contrattazione ed attraverso il secondo: si tratta di due piani distinti che tali devono rimanere, senza che il secondo inglobi il primo. E’ il tentativo politico che la controparte datoriale ha provato a realizzare e che il sindacato unito ha finora sventato. In assenza di regole contrattuali non si può realizzare una riforma in tal senso, escludendo il piano confederale ed agendo su quello di un’unica categoria.
I metalmeccanici sono il settore più rappresentativo del mondo industriale e vorrebbero rinnovare il contratto con i medesimi criteri finora applicati a rinnovi analoghi, come quelli realizzati nel settore chimico farmaceutico, od alimentare ed agricolo. La scelta delle imprese metalmeccaniche di voler agire diversamente è, quindi, tutta politica. Si risolve, allora, trovando una via di mediazione proprio sul tema del salario. E’ evidente che non è possibile accettare che non ci sia da parte di Federmeccanica ed Assistal alcun aumento del salario nominale per tutto il corrente anno 2016. Non regge che ciò avvenga per recuperare gli aumenti concessi con l’accordo del dicembre 2012 che, retrospettivamente, vengono considerati dalle imprese eccessivi poiché definiti in base a una previsione di crescita dell’inflazione che è poi risultata, nei fatti, superiore all’inflazione effettivamente realizzatasi. Quegli aumenti sono stati decisi consensualmente tra le parti e non rappresentano una colpa da addossare ai lavoratori.
Crea confusione lo slogan del cosiddetto “salario minimo di garanzia” in sostituzione degli attuali minimi salariali, perché di fatto non è rivolto a tutta la platea metalmeccanica, ma a poco meno del 5% della stessa. la proposta di Federmeccanica fissa un minimo di garanzia composto dalle retribuzioni contrattuali in essere a tutto il 31 dicembre 2015, maggiorate, a partire dal 1° gennaio 2017, di un importo mensile pari a 37,31 euro lordi medi. Ciò a fronte dell’abolizione del cosiddetto “elemento perequativo”, una voce salariale – pari a 485 euro lordi annui – destinata ai dipendenti delle imprese prive di contrattazione aziendale. Dopodiché, eventuali aumenti collegati a una crescita dell’inflazione verificatasi nel 2016, potranno essere corrisposti, a partire dalla mensilità del luglio 2017, ma solo a quei lavoratori la cui “retribuzione individuale”, ovvero la cui paga di fatto, risulti a quel momento inferiore al minimo di garanzia.
In pratica, nell’interpretazione dei sindacati, gli eventuali aumenti dei salari nominali così concepiti andrebbero solo ai dipendenti di recente assunzione. Ciò poiché, dopo due anni di attività, il primo scatto di anzianità porterà la retribuzione di qualsiasi metalmeccanico, anche se di poco, al di sopra del nuovo minimo di garanzia. Se passasse la proposta contrattuale degli imprenditori dal punto di vista salariale divideremmo in tante gabbie salariali quel popolo composto da un milione e seicentomila addetti del settore con aumenti differenziati e paghe altrettanto differenti. Il primo livello contrattuale, invece, deve essere utile ad erogare aumenti retributivi a tutti i metalmeccanici e non ad una loro esigua minoranza, perché va recuperato il potere d’acquisto tenendo conto dell’inflazione e della crescita del settore.
E’ facile comprendere che viene messo in gioco con la proposta datoriale proprio il ruolo stesso del Contratto nazionale. Contratto che finirebbe per perdere la sua funzione di autorità salariale, capace di tenere concretamente insieme, per via retributiva, un mondo variegato come quello che va sotto il nome di industria metalmeccanica. Un mondo composto di imprese piccole, medie e grandi, nazionali e multinazionali, nonché attive in diversi settori sottostanti e collegati. Insomma, è quel mondo di lavoratori che il 20 aprile ha scioperato con responsabilità e orgoglio, perché vuole un rinnovo concreto del Ccnl che lo riguarda. Si tratta di una realtà produttiva che manda avanti l’economia del Paese garantendo quel punto positivo di crescita del Pil. Ecco perché val la pena ricordare le percentuali analitiche di quello sciopero riscontrate in aziende ed aree geografiche diverse. La media ponderata è stata, come anticipato in apertura di questo articolo del 75%, ma abbiamo registrato punte diffuse di adesione superiori al 90%. E’ la percentuale toccata dai dipendenti della Comer Industries a Reggio Emilia, l’azienda di proprietà del presidente di Federmeccanica, Fabio Storchi, dove lavorano 430 addetti ed ubicata nella città dove ho tenuto il comizio davanti agli scioperanti emiliani. Un segno inequivocabile di come gli imprenditori debbano cambiare la proposta contrattuale. In questa richiesta siamo determinati e convinti.
Con questa prospettiva abbiamo deciso di ritornare a sederci il prossimo 6 maggio a quel tavolo convocato in Confindustria a Roma. La vertenza contrattuale dei metalmeccanici deve avere un epilogo positivo, ma con reciproca soddisfazione delle parti.