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Cosa (non) è successo al Nuclear Security Summit

Stati Uniti e Cina lavoreranno insieme per cercare di prevenire altri test missilistici e atomici della Corea del Nord. È questo per Barack Obama uno dei punti centrali della due giorni del Nuclear Security Summit (NSS) svoltosi a Washington: il presidente americano tra le altre cose ha avuto un incontro riservato con il suo omologo cinese Xi Jinping, seguito da altri colloqui sempre sull’argomento con i leader della Corea del Sud e Giappone.

KIM LA MINACCIA

Poco dopo il vertice bilaterale sino-americano, l’agenzia stampa sudcoreana Yonhap ha battuto la notizia di un nuovo test balistico di Pyongyang: un missile caduto a largo della costa orientale della penisola coreana.

La Cina, secondo quanto riportato da Xinhua, avrebbe concordato con gli Stati Uniti di attuare “pienamente e rigorosamente” tutte le sanzioni alzate dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, diramate dopo il test nucleare di un paio di mesi fa e i successivi test missilistici. Una linea che dimostra come il Nord, che subisce influenza e aiuti dai cinesi (i quali ricambiano con una sorta di tutela), stia attualmente ricoprendo una linea che indispettisce Pechino, crea imbarazzo internazionale, e accentra troppo le attenzioni sulla Cina.

IL RISCHIO TERRORISMO

Questo del 2016 potrebbe essere l’ultimo NSS e dunque Obama, che ha sponsorizzato molto l’iniziativa internazionale fin dalla prima edizione del 2010, ha tenuto la conferenza stampa conclusiva facendo il punto della situazione. Il timore principale del presidente americano, oltre alle pazzie del leader nordcoreano Kim Jong Un, è che dei “madmen” (“pazzi”) possano mettere le mani su materiale nucleare e produrre quella che in gergo viene definita una “bomba sporca”, ossia un ordigno convenzionale avvelenato da roba radioattiva (gli effetti di queste esplosioni sono molto meno devastanti di quelle atomiche, ovviamente, ma la radioattività trasmessa nella detonazione è in grado di espandersi per un areale significativo e causare comunque problemi alla salute delle persone e all’ambiente).

“NON POSSIAMO ESSERE SODDISFATTI”

Ricordando i progressi fatti dal 2010 ad oggi in materia di sicurezza delle centrali (e dunque sulla protezione di materiali sensibili) Obama ha detto che “non possiamo essere comunque soddisfatti”, invitando tutti i Paesi a stringere ancora di più i controlli, perché sia al Qaeda prima, sia lo Stato islamico adesso (in base a quanto emerge dalle inchieste dietro ai fatti di Parigi e Bruxelles) hanno tra le loro mire di ottenere componenti atomici. Un eventuale attacco “cambierebbe il nostro mondo” ha detto Obama.

DISARMO E PRESIDENZIALI

A margine della conferenza stampa Obama ha definito “ignoranti” le posizioni di Donald Trump, candidato in testa nella corsa repubblicana alla Casa Bianca, il quale aveva proposto la possibilità che Giappone e Corea del Sud, alleati americani, sviluppassero potenzialità atomiche militari. Trump cavalca una linea completamente opposta a quella promossa dal Nuclear Security Summit, che fa di disarmo e smaltimento uno dei punti cardini in materia di sicurezza nucleare (il ragionamento è semplice: se non c’è materiale nucleare in circolazione, allora non c’è rischio che questo venga contrabbandato e finisca in mano ai madmen). Sono 19500 le testate nucleari nel mondo, per un totale di oltre 2000 tonnellate di uranio e plutonio arricchiti: il 93 per cento sono in mano a russi e americani, che comunque ne mantengono operative solo 1550. Il resto sono in via di smaltimento nell’ottica del disarmo, ma rappresentano comunque materiale potenzialmente appetibile per i gruppi terroristici.

IL NODO GEOPOLITICO DEL SUDEST ASIATICO

Venerdì, nel mezzo delle discussioni dell’NSS, alle decisioni sulla non proliferazione e gli auspici sul disarmo, il Pakistan ha affermato il suo diritto ad avere un proprio programma nucleare, definendolo “modesto” rispetto a quello indiano. Il ministro degli Esteri pakistano Aizaz Chaudhary, parlando da Washington, ha chiarito che il proprio arsenale ha puramente scopo difensivo e che è “molto sicuro”, ricordando che degli oltre 2700 incidenti nucleari registrati “cinque sono avvenuti in India mentre nessuno in Pakistan”. I contrasti geopolitici tra i due paesi, entrambi in possesso di tecnologia nucleare, sono uno dei grandi problemi dietro al dossier nucleare e non solo: rivalità acuita anche da pressioni esterne.

L’IRAN E IL GOLFO

Se il Pakistan ha avuto uno sviluppo rapido dei propri impianti, è anche grazie ai finanziamenti ricevuti dai sauditi, i quali considerano l’atomica pakistana di “roba di proprietà“. La motivazione è semplice: Riad vuole da sempre contrastare l’Iran, nemici esistenziali reciproci, simboli delle divisioni intrareligiose islamiche. L’accordo sul nuke iraniano siglato nel luglio del 2015 ha permesso alla Repubblica islamica di mantenere in piedi le centrali civili, congelando temporaneamente il programma militare. Dunque per controbilanciare la situazione, è stato necessario chiudere occhi e orecchie sullo sviluppo di impianti per produzioni civili anche nel Golfo (questione su cui prima Washington cercava di fare opera di dissuasione). Ricorda Ugo Tramballi sul Sole 24 Ore, che già nel 2017 gli Emirati Arabi diventeranno il primo paese della regione a sfruttare la tecnologia nucleare, poi seguirà l’Arabia Saudita e la Giordania, tutto avverrò sfruttando la partnership con Francia, Russia, Stati Uniti e Cina, ossia le potenze nucleari storiche. Scrive Tramballi: “Possedere la versione civile di quell’energia non significa essere a un passo da quella militare. Ma chi ha la prima, è tecnicamente sulla buona strada per la seconda”.

L’ASSENZA RUSSA

La Russia è stata il grande assente del vertice di Washington. La decisione di Vladimir Putin di non partecipare ha prodotto un “anticlimax”, come ha scritto il Guardian. È ovvio che è difficile affrontare il tema senza quella che si stima sia la prima potenza atomica mondiale. Il vertice è stato trasformato in una sorta di metafora della presidenza Obama: lodabile per alcuni risultati raggiunti, ma non all’altezza di certi obiettivi, “incrementale più che rivoluzionaria” l’ha definita sempre il Guardian. Mercoledì, il giorno precedente all’apertura del vertice, Obama ha scritto un op-ed sul Washington Post sostenendo che Russia e Stati Uniti dovevano decidere insieme un’ulteriore riduzione dell’arsenale, proposta a cui Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino, aveva replicato dicendo che in questo momento tra i due paesi c’era poca collaborazione. La crisi ucraina e la guerra civile siriana pesano ancora sui rapporti, anche se il disgelo è in parte iniziato.

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