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Petrolio, che cosa si deciderà a Doha

Da questa mattina è in corso a Doha, la capitale del Qatar, un fondamentale vertice dal quale potrebbero uscire importanti novità sulle politiche energetiche e gli equilibri geopolitici mondiali. Poche ore prima che si aprissero i seggi per il cosiddetto “referendum sulle trivelle” in Italia (in cui sono in ballo interessi più che altro politici: si vota contro il governo Renzi e non sul merito del quesito, secondo molti osservatori), i leader dell’Opec, l’organizzazione dei produttori di petrolio, insieme con altri Paesi estrattori come la Russia (il secondo più grande dopo l’Arabia Saudita, che comanda l’Opec) e il Messico, si sono riuniti per decidere sul congelamento delle produzioni.

Il vertice segue a distanza di due mesi esatti un incontro in cui russi e sauditi hanno raggiunto un’intesa preliminare sul congelamento delle produzioni, da un paio di anni spinte a livelli di stress da Riad, che però ne ha ottenuto un effetto boomerang, dovuto ad un abbassamento dei prezzi, scesi a livelli quasi incontrollabili; un calo che ha messo in difficoltà economie propro come quella saudita, o russa, che al settore energia legano la stragrande percentuale del bilancio statale.

Dietro all’intesa tra Russia e Arabia Saudita c’è un dettaglio vincolante: Riad ha già fatto sapere che se anche soltanto uno dei principali produttori dovesse decidere di non allinearsi all’accordo – che prevede di congelare le produzioni su livelli comunque molto alti, quelli di gennaio 2016, fino ad ottobre – dai pozzi sauditi potrebbe, per scotto, uscire un milione di barili di greggio in più; parole del principe Mohammed Bin Salman, presidente, tra i vari incarichi, del Consiglio supremo che guida la Aramco, la grande compagnia petrolifera del regno. Quando Salman parla pensa ad un interlocutore specifico: l’Iran. La Repubblica islamica con la chiusura dell’accordo sul nucleare s’è vista sollevata delle sanzioni internazionali, con conseguente sblocco per le esportazioni di petrolio. Non bastasse lo scontro esistenziale legato a faccende confessionali intra-islamiche (la diatriba tra sunniti e sciiti), il mercato dell’energia diventa un altro tema caldo tra Riad e Teheran. Due giorni fa il ministro del Petrolio iraniano Bijan Namdar Zangeneh ha dichiarato che il suo paese non può congelare le produzioni perché ha necessità di tornare ai livelli pre sanzioni, per conquistare altre quote di mercato.

La risalita del prezzo al barile, ora intorno ai 45 dollari (ossia il 60 per cento in più rispetto a gennaio), è fortemente collegata alle prospettive positive su questo accordo: se tutto dovesse saltare, l’Arabia Saudita potrebbe toccare gli 11 milioni di barili estratti ogni mese, un record, e lanciare progetti per ampliare ulteriormente la propria produzioni. Progetti su cui tuttavia Riad si è già mosso in avanti: un investimento miliardario dovrebbe portare il giacimento petrolifero di Khurais ad essere in grado di produrre da solo 1,5 milioni di barili al giorno entro il 2018.



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