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Alfano, Orlando e la lotta al terrorismo

Ieri si è svolto alla Camera un interessante question time dedicato ai temi del terrorismo, della prevenzione e delle strategie in atto per combatterlo. I protagonisti sono stati il ministro dell’Interno Angelino Alfano e il ministro della Giustizia Andrea Orlando.

L’Italia, come è noto, è in prima linea sia per quanto riguarda i rischi effettivi e sia per quelli potenziali derivanti dalla posizione strategica che la geografia le assegna come Paese di frontiera marittima dell’Unione Europea, oltre che come luogo centrale della cristianità.

Orlando ha sottolineato ”la dimensione transnazionale del terrorismo jihadista che impone di adottare misure di contrasto sistemiche e coordinate tra gli Stati”. In tal senso è giusto rilevare quanto sia urgente per l’Europa compiere un salto di qualità, trovando una maggiore coralità nel fronteggiare il male che ci affligge. Perciò, ha precisato il ministro, il governo ha deciso di potenziare ed estendere le competenze della Procura Nazionale Antimafia, dandogli anche il compito di un coordinamento investigativo in materia di antiterrorismo.

Alfano, invece, si è soffermato maggiormente sul carattere globale sia della minaccia e sia della prevenzione del fondamentalismo violento, consapevole del fatto che non esiste una condizione di rischio zero per nessun Paese.

Una nota conclusiva molto interessante del ministro, relativa al basso numero di ‘foreign fighters’ italiani, permette infine di aprire una riflessione importante sull’insieme dei valori che possono, e, nel caso del nostro Paese, permettono, di rendere oggi una società immune dalla produzione interna di jihadisti.

L’Italia dal punto di vista politico ha vissuto nei decenni scorsi fasi molto acute di scontro ideologico: basti pensare al terrorismo rosso e nero che negli anni ’70 ha insanguinato le nostre città o, in modo fortunatamente incruento, alla radicale polarizzazione che dal ’94 fino al 2011 ha diviso la nazione in berlusconiani e anti – berlusconiani.

Non a caso tra le democrazie europee la nostra è stata quella che più ha visto consumarsi in modo lacerante la contrapposizione tra partiti e più ha subito la divisione interna tra opposti estremismi. La causa di questo fenomeno è storica e sociologica, visto che il nostro Stato è giovane, figlio della guerra risorgimentale, e il popolo italiano tende naturalmente a privilegiare la logica delle parti a quella del tutto.

Ciò nondimeno il tessuto comunitario, soprattutto a livello regionale, si mostra ancora molto solido, e quasi sempre il processo di integrazione riesce validamente ad includere senza ghettizzare le nuove presenze straniere.

Questo dato pratico di coesione nazionale rappresenta, dunque, in sé un enorme valore pre-politico del Paese e costituisce l’ossatura stabile della nostra fragile Repubblica. Per neutralizzare il terrorismo islamico, ovviamente, si ha bisogno di una serie di iniziative ad hoc, come prima osservato, che permettano di organizzare meglio la pubblica sicurezza dando ai nostri uomini una preparazione adeguata e un funzionale coordinamento internazionale. Tuttavia, il fatto stesso che nelle nostre città non vi siano zone inaccessibili e chiuse, come in Belgio, e non esistano vere e proprie banlieu di segregati, come a Parigi, rappresenta in sé un prezioso fattore positivo da valorizzare e da sostenere più e meglio, al di là delle normali divisioni politiche.

Si dice sempre, e lo ripetiamo un po’ tutti, che agli italiani manca il senso dello Stato. E anche i recenti accadimenti di piccola e grande corruzione pubblica sembrano confermare questo alto grado di degenerazione morale. Malgrado ciò, tuttavia, è importante riconoscere anche la presenza di una forte coscienza comunitaria da parte di un Paese che, rispetto ad altri forse più efficienti ed evoluti, continua comunque ad avere una sua compattezza e un sicuro controllo nazionale del territorio.

Sebbene l’illegalità, insomma, la faccia spesso da padrona e l’autoreferenzialità locale sia tutt’altro che un fiore all’occhiello, ecco che in Italia la tradizionale modalità sociale in cui si vive la dimensione familiare, parrocchiale o semplicemente civica dei rapporti personali, specialmente in provincia, è un baluardo preziosissimo per il mantenimento futuro della democrazia, specialmente oggi che la nostra convivenza è attaccata da una minaccia subdola e invisibile, la quale non può essere scongiurata senza che i cittadini stessi partecipino direttamente a controllare e vigilare i posti in cui vivono, risiedono e lavorano.


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