Bernie Sanders sa di chi è la colpa dello scandalo dei “Panama Papers”: Hillary Rodham Clinton, sua rivale per la nomination democratica alla Casa Bianca, ne sarebbe corresponsabile, perché, cinque anni or sono, quando era segretario di Stato, appoggiò un accordo di libero scambio tra Usa e Panama, cui invece lui si “oppose strenuamente”.
I “Panama Papers” sono documenti che hanno svelato una rete di conti clandestini off-shore creata grazie ai servigi del discusso studio legale “Mossack Fonseca”, che ha sede a Panama City.
Di conseguenza, dice il senatore del Vermont in un comizio a Filadelfia, “penso che lei non sia qualificata per diventare presidente”: “Ha sostenuto un accordo che ha reso più facile, per i ricchi e per le aziende del mondo intero, evitare di pagare le tasse nei Paesi d’appartenenza”.
All’affondo di Sanders, il più duro della campagna, ha replicato la Casa Bianca: il presidente Barack Obama ritiene l’ex first lady “molto qualificata” per il ruolo, dice uno dei portavoce.
Il caso “Panama Papers” fa così irruzione nella campagna per le primarie. E due pubblicazioni vicine ad ambienti ultra-conservatori, rivelatesi spesso non attendibili, collegano allo scandalo il capo della campagna di Hillary, John Podesta, un ex capo di gabinetto di Bill Clinton e consigliere di Obama, una cui società avrebbe svolto un ruolo di consulenza e di lobby per una società russa implicata.
Il comitato elettorale di Sanders ha successivamente ricordato come la Clinton fosse inizialmente contraria all’accordo di libero scambio con Panama, salvo poi ribaltare la propria posizione dopo essere entrata nell’Amministrazione, alla guida del Dipartimento di Stato.
“Ritengo che lei non sia qualificata per la presidenza”, rincara la dose Sanders a Filadelfia, “se riceve milioni di dollari tramite il suo SuperPac (comitato di sostegno finanziario formalmente indipendente, che può celare lobbies e aziende, ndr). Non ritengo sia qualificata, se riceve milioni di dollari da Wall Street. Non ritengo sia qualificata, se ha votato a favore di una guerra disastrosa come quella in Iraq” (da lui, invece, contrastata).
La sortita di Sanders appare una replica alla Clinton, che mercoledì aveva espresso i suoi dubbi sull’adeguatezza del senatore a essere “comandante in capo”. Ma è anche un modo di reagire all’infortunio di un’intervista al New York Daily News, criticata da molti commentatori perché vaga nelle risposte di politica sia interna che estera, compresa l’attuazione del suo piano di riforma di Wall Street.
Un sondaggio McClatchy/Marist dava giovedì Sanders davanti alla Clinton a livello nazionale, nelle preferenze dei potenziali elettori democratici, 49% a 47%. Dal rilevamento, risulta inoltre che un elettore di Sanders su 4 non voterebbe per la Clinton, se fosse la candidata democratica, mentre solo uno su sette degli elettori dell’ex first lady non voterebbe per il senatore.