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Corriere della Sera, Urbano Cairo e la guerra di carta fra Intesa Sanpaolo e Mediobanca

Urbano Cairo

“Dove vanno senza Intesa?”. E’ la domanda che si sente ripetere in queste ore in ambienti vicino a Urbano Cairo, l’editore che ha lanciato un’Ops (Offerta pubblica di scambio) su Rcs, che pubblica tra l’altro Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport.

Come dire: i mugugni e i borbotti dei vertici e di alcuni soci di Rcs per la manovra di Cairo senza avere l’appoggio di Intesa Sanpaolo, azionista di peso col 4,2% e primo creditore di Rcs, non andranno lontano. E’ questa la convinzione di Cairo – secondo alcune indiscrezioni raccolte in ambienti finanziari – forte appunto del sostegno esplicito dell’istituto guidato dall’ad Carlo Messina, sia per le parole pronunciate dal capo azienda sia perché Banca Imi (del gruppo Intesa) è advisor di Cairo nell’Ops.

Il corollario del ragionamento dell’editore de La 7 è che alcuni soci di Rcs ora sbuffanti (Diego Della Valle?) si convinceranno che l’operazione di Cairo è l’unica reale e fattibile per dare un futuro meno tormentato al gruppo editoriale che deve tagliare il debito, ridurre le spese e magari rafforzare il capitale. Le parole del banchiere Messina sono un monito indiretto agli altri soci: “Il destino di Rcs è inevitabilmente legato a dismissioni progressive per cercare di tenerla in piedi. Cairo invece ha immaginato una soluzione che ha un valore industriale”.

Di tutt’altro avviso i soci Mediobanca, Pirelli e Unipol, in particolare. Tanto che, come ha scritto oggi Andrea Montanari di Mf/Milano Finanza, il board di Rcs “a breve darà mandato formale a una banca d’affari internazionale per studiare le contromosse e una posizione difensiva forte. Verranno chiamate in causa Goldman Sachs, Morgan Stanley, Citi e Deutsche Bank, oltre alle boutique Lazard (advisor sulla ristrutturazione del debito) e Rothschild”.

La guerricciola è già partita. Ieri infatti il cda presieduto da Maurizio Costa ha rilevato tra le altre cose come le condizioni chieste da Cairo sulla gestione della relazione con le banche creditrici incidano sull’operatività e rischino di «interferire con le trattative in corso con le banche finanziatrici», tenuto conto che Rcs «intende proseguire» nel negoziato, puntando a portare quest’ultimo a compimento «auspicabilmente in tempi brevi», nell’interesse della stessa società.

Le critiche della società guidata dall’ad, Laura Cioli, seppure nel tono soffuso dei comunicati stampa, lasciano trasparire fastidio e una controffensiva. Al primo punto delle osservazioni del consiglio Rcs è rimarcato come l’offerta di Cairo non sia «stata concordata, né preventivamente comunicata». Poi ci sono le critiche sul prezzo dell’Ops. Scrive il Corriere della Sera: “Il gruppo guidato da Laura Cioli — che si appresta ad archiviare un primo trimestre «in netto miglioramento» rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso — esprimeva all’8 aprile scorso, il giorno dell’annuncio, si legge nel comunicato, un target price di 0,81 euro secondo la media delle valutazioni degli analisti, contro la valorizzazione di 0,51 euro di Cairo”. «Il corrispettivo offerto è significativamente a sconto — si legge nella nota Rcs — rispetto alle medie del titolo Rcs MediaGroup rapportate alle medie del titolo Cairo Communication a tre, sei, dodici mesi». La media dei prezzi di Rcs negli ultimi tre mesi, si legge ancora, «è stata influenzata negativamente dall’annuncio della distribuzione della partecipazione in capo a Fca, nonché del protrarsi del negoziato in corso con le banche finanziatrici».

Come dire: solo fattori contingenti hanno causato le basse quotazioni del titolo Rcs. Ma è davvero e solo così per i titoli editoriali e per quelli di via Solferino in particolare? Non tutti gli analisti concordato con questa lettura dei vertici di Rcs. Per non parlare degli advisor di Cairo per l’Ops. E Marco Benedetto, per anni capo azienda del gruppo Repubblica-l’Espresso, ha scritto su Facebook: Cairo? “Il più bravo di tutti ma non è la Caritas…”.

Comunque sia Cairo sia gli advisor sono ottimisti: l’editore pensa di avere già ora dalla sua parte soci che detengono circa il 15% del capitale e conta sempre più sull’appoggio degli esponenti della Compagnia di San Paolo, azionista di Intesa, per lavorare ai fianchi alcuni azionisti riottosi. Una manovra, però, che deve fare i conti con lo spirito di rivalsa che in queste ore sta maturando in Piazzetta Cuccia, sede di Mediobanca.

L’istituto guidato dall’ad, Alberto Nagel, oramai sempre più in concorrenza e in antitesi in partite di potere delicate (Rcs) e sistemiche (Fondo Atlante, di cui farà parte Intesa e non Mediobanca) con Intesa Sanpaolo – come fa notare Andrea Greco sul quotidiano la Repubblica – medita di allestire una controffensiva in Rcs alla manovra di Cairo. Ma al momento è molto difficile trovare una via d’uscita che non passi per il lancio dell’aumento di capitale da 200 milioni: “Anche perché – scrive Mf – dopo i Rocca, Andrea Bonomi e la De Agostini, anche la famiglia Gavio, che presto potrebbe incontrare i vertici di Mediobanca, non è interessata alla partita. Così come la tedesca Axel Springer che in un primo momento pareva potere scendere in campo. Neanche Francesco Gaetano Caltagirone che potrebbe essere il soggetto giusto per lanciare una contro-ops, si è detto interessato”.


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