La campagna elettorale a Milano non manca di riservare sorprese e si rivela sempre più confronto tra due candidati che hanno importanti elementi comuni, a partire da uno stile di linguaggio e di comportamento civile (dati i tempi non è poco), ma che devono fare i conti con dannosi radicalismi presenti nei rispettivi schieramenti. Se si continuerà, come è probabile, su uno sconcertante gioco a perdere, la vittoria non sarà dei migliori ma di chi ha commesso meno errori. Il limite di fondo, che spiega razionalmente questo paradosso, consiste nel fatto che lo scontro rischia di non essere più tra centro-destra e centro-sinistra ma tra due aree in cui le componenti più radicali e irrazionali esercitano apertamente diritti di veto nei confronti dei candidati a Palazzo Marino.
PARISI, SALVINI E LE MOSCHEE
Due esempi: le moschee e la candidatura (ritirata) di Ferlini. Sulle moschee Parisi ha fatto un ragionamento lineare. Poiché il nostro Paese garantisce la libertà di culto occorre una legge nazionale che disciplini questo diritto garantendo che non si trasformi in uno strumento eversivo di propaganda della violenza, se non del terrorismo. La risposta di Salvini è stata lapidaria: Parisi si scordi di costruire una moschea a Milano, dove c’è la Lega queste cose non si fanno. Evidentemente la deriva “lepenista” comincia a produrre i suoi effetti ma c’è una profonda contraddizione tra la Lega di Bossi che, piaccia o meno, è diventata forza di governo e il Front Populaire transalpino che non è mai uscito dai limiti di un grande movimento di protesta. Quella che appare alla fine è però una spada di Damocle sulla testa di Parisi.
SALA E IL CASO FERLINI
Sull’altro versante la candidatura di Massimo Ferlini nella lista di Sala è stata oggetto di una campagna di “pulizia etnica” perché la candidatura di un personaggio di rilievo, oggi espressione della Compagnia delle Opere e che in passato ha ricoperto importanti incarichi politici e amministrativi per il PCI ed è stato coinvolto nelle vicende giudiziarie milanesi del 1993, è stata vista da Sel come un elemento di inquinamento dell’alleanza di centro-sinistra. Non è escluso che negli argomenti utilizzati, anche se non esplicitati, sia stato evocato anche il pericolo di considerare questa candidatura come una sorta di sfida alla magistratura. Sta di fatto che Beppe Sala che aveva espresso la sua contrarietà agli steccati ideologici è stato costretto ad abbandonare la difesa di una candidatura su cui si era speso politicamente e che avrebbe oggettivamente qualificato la propria lista.
LE DEBOLEZZE RECIPROCHE
Questi episodi indeboliscono entrambi i candidati perché i loro schieramenti appaiono privi una vera identità politica e divengono semplici accrocchi elettorali. Nello stesso tempo offrono ai candidati la possibilità di affermare la propria personalità politica respingendo tutti quei condizionamenti che li farebbero apparire dei futuri sindaci “dimezzati”. Per questa ragione il voto di Milano sarà importante per restituire al Paese un assetto politico di normalità con partiti e schieramenti alternativi ma che si rispettano e ricercano una convergenza sulle scelte strategiche.