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Tutte le demagogiche salvinate tra Lega e Movimento 5 Stelle

Il dibattito sulle mozioni di sfiducia al governo ha fatto emergere l’asse Lega-M5S. Lo nota la Repubblica la quale lo definisce “strano”. In realtà è meno strano di quel che possa sembrare. Ormai tra grillini e salvinisti le differenze si riducono a poco più che sfumature.

Su Renzi la pensano allo stesso modo, e così sul Pd, su quello vecchio (con il quale magari s’alleano strumentalmente come nel caso del referendum sulle trivelle) e ancor più sul nuovo. Vedono entrambi la magistratura come giustiziera: le manette che piacevano alla Lega del primo Bossi tornano a tintinnare allegramente nella Lega di Salvini, mentre i pentastellati hanno stretto un’alleanza chiara con i magistrati demagoghi finiti in politica (da Emiliano a De Magistris) e con la sinistra giudiziaria. Sono in sintonia sulle crisi bancarie e sui salvataggi. Attaccano “i plutocrati” e “la casta”. Vogliono bloccare non solo gli immigrati, ma i profughi e i rifugiati. Soprattutto sono in perfetta linea contro l’Unione europea e contro l’euro.

Del resto, Salvini ha abbracciato il lepenismo e il guretto pentastellato (cioè Davide Casaleggio, figlio del guru ed erede della leadership per motivi dinastici, cosa che oggi come oggi si vede solo in Arabia saudita) è l’artefice dell’asse con Nigel Farage il capo del partito neonazionalista britannico. In sostanza, sia la Lega di Salvini sia il M5S di Casaleggio e Grillo sono entrati nell’arcipelago neopopulista europeo, dell’Europa occidentale e di quella orientale.

Lo scenario politico italiano si sta in questo modo semplificando. Vede da un lato la coppia Lega-M5S alla quale si aggregano i resti di Forza Italia che si riconoscono in Brunetta e nella Santanchè. Un fronte anti-sistema, se non proprio sovversivo soprattuto quando si aggancia, sia pure per esigenze tattiche, con il sovversivismo di sinistra e, ancor peggio, con il sovversivismo delle classi dirigenti che, come già spiegava a suo tempo Antonio Gramsci, è una tabe che corrode l’Italia moderna fin dalla sua nascita. Colpisce ad esempio che su una questione sensibile per un pezzo importante dell’industria italiana, come il petrolio e l’energia, la Confindustria sia stata alla finestra. Mentre la televisione in mano all’uomo che vuole conquistare il Corriere della Sera, cioè Urbano Cairo, ha fatto chiaramente il tifo per i No Triv. Senza contare lo spazio che dedica quotidianamente ai Pentastellati.

Dalla parte opposta c’è una sinistra moderata e riformista guidata da un riformista non molto moderato come Matteo Renzi. In mezzo non c’è nulla e questo è un problema, forse il problema oggi più serio per la politica italiana. Fuor di metafora, si tratta del collasso irrimediabile di quel centro destra liberaleggiante guidato da Silvio Berlusconi. La colpa di questa catastrofe è dello stesso Berlusconi che non ha saputo né voluto preparare la propria successione.

Secondo alcuni analisti acuti, è riemersa l’onda lunga degli anni ’90, quella che aveva spinto Mani pulite. Berlusconi aveva fatto in qualche modo da diga. Ma adesso l’onda è uscita fuori come accadde, dopo la frana della montagna, al lago artificiale del Vajont, con la differenza che anche la diga si sta frantumando.

Se così stanno le cose, la battaglia per il referendum sulla riforma costituzionale sarà senza esclusione di colpi bassi. Nel caso Renzi perda, la spinta sovversiva sarà irrefrenabile e metterà in discussione tutte le istituzioni dell’Italia post bellica. Ma anche se Renzi vince non ci sarà nessuno in grado di traghettare gli oppositori all’interno di una sana dialettica democratica. Chi è contro resterà sempre contro, rifiutando la legittimità del nuovo assetto costituzionale, di quella che viene chiamata Terza Repubblica, minandola alla base e condannandola a una fine anticipata e forse traumatica.

Magari le cose non stanno così, magari stiamo assistendo a una pantomima, a una ginnastica retorica destinata a rientrare nei ranghi. Magari una destra moderata riemergerà, chissà, ancora una volta da Milano. Magari Renzi riuscirà a costruire attorno alla sua riforma un arco di consensi ampio, dialogando, recuperando, puntando questa volta non sulla rottamazione, ma sulla paziente costruzione del consenso, con un pizzico di togliattiana strategia delle alleanze. Non sappiamo cosa riserva il prossimo futuro. Il presente, però, non promette nulla di buono.

Stefano Cingolani


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