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Tutte le ultime mosse di Papa Francesco

Nell’esortazione sulla gioia dell’amore (Amoris laetitia) Papa Francesco ha saputo tener conto della sconfitta sinodale e insieme difendere il suo progetto di innovazione, che non pochi considerano dissolutivo. Tutto è contenuto nello slogan propagandistico usato per definire quel documento che “non conclude, ma apre un cammino”.

Bergoglio era entrato fiducioso nel sinodo sulla famiglia degli anni 2014 e 2015, ma ne era uscito un po’ sconfortato, in quanto una parte notevole di padri sinodali aveva frenato le sue proposte innovative su divorziati e gay. Era naturale che il papa ne tenesse conto, egli ora si muove con cautela, ma ripropone la sua rivoluzione, che non considera arrestata, ma solo agli inizi.

Lo fa con una esortazione del “vedremo”, che nulla dice di nuovo, ma ripropone la sua abile strategia, che si regge su due atteggiamenti diversi. Da un lato l’insistenza, in una esortazione forse troppo lunga e ripetitiva (264 pagine), sulla tradizione perenne della Chiesa, in nome di una sua presunta continuità con i documenti dei papi postconciliari sulla famiglia: l’Humanae vitae (1968) di Paolo VI e la Familiaris consortio (1981) di Giovanni Paolo II; dall’altro l’apertura al nostro tempo, con una tecnica della problematicità e del decentramento, servendosi di un linguaggio, dolce e gradevole, che limita al massimo le parole fondative e normative.

La comunione ai divorziati non viene consentita, ma dichiarata “possibile”: “in certi casi i sacramenti potrebbero essere di aiuto” (ma non si dice quali); le differenze culturali tra le diocesi nel mondo richiedono soluzioni diverse (e allora l’unità della Chiesa?). La partecipazione dei gay alla vita ecclesiale è un “rispetto” loro dovuto, ma sempre con discernimento e, in ogni caso, rifiutando il matrimonio omosessuale. Conclusioni moderate, che dicono e non dicono, esse potranno accontentare, ma anche scontentare tanto gli innovatori quanto i tradizionalisti: che non sono ancora due Chiese, ma esprimono sensibilità notevolmente diverse.

L’acuta intelligenza di Bergoglio, aiutata dalla lunga esperienza di episcopato in una metropoli, ha capito a fondo i nuovi, veri o presunti, valori dell’epoca conclusiva della modernità, ai quali la Chiesa dovrebbe aprirsi per rendersi ancora presente e ascoltata in una società postcristiana: un illuminismo edonista, divenuto relativismo e lassismo, dentro l’insuperabile narcisismo dell’uomo tecnologico, che si sente privato di ogni libertà nel pubblico e la cerca nel privato, vissuto come rapida ed effimera fruizione della provvisorietà, come vita alla giornata in un clima di sfiducia e rassegnazione. La famiglia e l’amore, per l’uomo postmoderno, sono spesso quelli fotografati dal papa nell’esortazione: “Individualismo sfrenato e banalizzazione del sesso, pretesa di imporre anche nella scuola la teoria del gender, utero in affitto”.

Ciò che lascia perplessi è la “ricetta” di papa Bergoglio: “Il matrimonio non deve contraddire la realtà attuale”. Ma questa accentuazione buonista e misericordiosa della pastorale familiare, che ruota intorno alla parola “inclusione”, rafforzerà la famiglia o non rischia di favorire il processo, in atto ormai da tempo, dello svuotamento delle sue finalità essenziali: rifiuto del matrimonio, separazioni e di divorzi, denatalità, crisi dei giovani e dei rapporti tra le generazioni? è rimedio o paravento, carità o permissivismo, misericordia o relativismo?

Il papa ne ha una lucida consapevolezza, su cui fonda la linea costante, decisa e rischiosa, del suo pontificato. Non a caso esaltata come innovativa dagli intellettuali laicisti, che nel passato, quando la religione aveva e dava una identità, erano anticristiani, mentre ora hanno capito che non c’è più bisogno di combattere la Chiesa, che si sta indebolendo da sola. Le priorità del nuovo cristianesimo di Francesco sono la lotta alla povertà e la tutela ecologica del pianeta, sostenute da una ideologia non lontana dal marxismo e dal populismo.

Finalità imprescindibili anche per il cristiano, ma valide solo se rette e guidate dalla tensione verso la dimensione eterna della persona: la religione non può essere ridotta a terapia psichica o a solidarietà sociale. Altrimenti diviene la forma attuale, cioè populista, del vecchio temporalismo. E la Chiesa, “madre e maestra”, si limita ad essere una variabile dipendente di quella cultura che, per la prima volta nella storia, ha cercato di fare a meno delle religione.

L’esortazione si apre a non pochi autori contemporanei e riporta brani di Borges, Marcel, Fromm e Bonhoeffer. Al par. 181 una poesia del poeta tupamaro Mario Benedetti. La citazione più lunga (par. 118) è di Martin Luther King, che di famiglia se ne intendeva e, ancor più, di donne. La notte prima di essere ucciso andò a letto con due amanti. Oltre al sogno (I have a dream), aveva anche un vizietto (I have a dick), cercava le gioie dell’amore (“scopare mi riduce l’ansia”, registrarono i microfoni del Fbi). Nessun moralismo: l’uomo, insegna Bergoglio, non va giudicato per gli errori che fa, ma per quello che è; e la Chiesa, ripete al par. 291, è un “ospedale da campo”.

(Pubblicato su Italia Oggi, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)



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