“Garantire che una coesa e ben attrezzata forza irachena avanzi verso Mosul è al centro della rinnovata missione degli Stati Uniti in Iraq”. Lo ha scritto il Washington Post, che tuttavia dal posto ha notizie meno confortanti: l’inviata Missy Ryan racconta che alcuni dei soldati iracheni che stanno aspettando il via libera per l’avanzata “indossano l’uniforme da meno di due settimane”, ossia, a parte la consulenza ricevuta da qualche advisor occidentale (spagnolo, portoghese, inglese o americano) nel centro di addestramento di Besmaya, non hanno altre esperienze militari. Proprio a Besmaya giovedì s’è recato Joseph Dunford, capo delle Forze armate americane, a far visita a quei militari della 9° Divisione meccanizzata dell’esercito iracheno, che secondo Sean McFarland, comandante dei soldati americani in Iraq, sono la migliore unità che Baghdad ha a disposizione, a patto che vengano armati e assistiti: “Se saremo in grado di farlo, l’Inferno o l’acqua alta non riusciranno a fermare questi ragazzi” ha detto il generale a Ryan.
LA VISITA DI CARTER A BAGHDAD
Tre giorni prima della visita di Dunford, il segretario alla Difesa americano, Ash Carter, era volato in Iraq per incontrare il premier Haider al Abadi, al quale ha garantito l’invio di altri 200 soldati americani (molti delle forze speciali), che si muoveranno “più vicini all’azione”, ha spiegato, e saranno assistiti da almeno 8 Apache; gli elicotteri da combattimento americani potrebbero anche fornire appoggio diretto alle truppe irachene durante l’offensiva su Mosul, che era stata data per avviata da Baghdad con i soliti proclami qualche settimana fa, ma è già in fase di stallo e senza un timing preciso. Le scadenze fissate dal presidente Barack Obama, il quale vorrebbe partire per Mosul “entro fine anno” (secondo dichiarazioni meno ottimistiche degli ultimi giorni), si scontrano con la preparazione dell’esercito iracheno, che procede a rilento come raccontato dal WaPo e confermato da un altro articolo sempre da Besmaya uscito sul Los Angeles Times, in cui un sergente istruttore spagnolo racconta che gli iracheni spesso “arrivano in ritardo ai corsi o non si presentano affatto”.
L’APPOGGIO POLITICO
L’arrivo degli Apache si porta dietro una linea politica. Ai tempi della battaglia per riprendere Ramadi, Washington offrì a Baghdad l’invio degli elicotteri, ma gli iracheni risposero che non ce n’era bisogno. La risposta era fortemente strumentalizzata dalla pressioni iraniane, che volevano procedere alla riconquista del capoluogo dell’Anbar sunnita utilizzando in forze le milizie sciite affiliate. Teheran temeva che la presenza degli Apache potesse far passare gli americani da liberatori, mentre invece volevano affibbiare ai sunniti uno schiaffo simbolico e settario liberandoli loro, gli sciiti, dal gruppo estremista (per altro sunnita). Andò a finire che alla battaglia cruciale partecipò quasi esclusivamente la Divisione dorata, ossia le forze speciali della Guardia repubblicana irachena: gli Apache non c’erano e le milizie sciite furono lasciate fuori città in una mediazione asimmetrica tra iraniani e americani. Ora se al Abadi accetta l’invio degli elicotteri, significa anche che Baghdad si sta riportando più sull’asse americano-occidentale, allentando in parte i rapporti con Iran, Russia e Siria. Il governo iracheno ha problemi di tenuta politica e si trova ad affrontare una crisi economica importante: Washington cerca di farsi da sponda per aiutare al Abadi e decidere il corso della lotta all’Isis.
RILANCIARE LA GUERRA AL CALIFFO
A metà marzo gli Stati Uniti hanno schierato una squadra speciale dei Marines insieme a quattro obici da 117 millimetri in un avamposto tattico poco fuori Mosul, che i giornali americani hanno ribattezzato, utilizzando una terminologia dei tempi del Vietnam, “firebase“, ossia una base da cui si sparano colpi di artiglieria. La previsione era portarsi avanti in modo discreto con le operazioni su Mosul, ma i baghdadisti hanno tracciato gli spostamenti e durante uno di questi hanno sparato dei colpi razzi Katyusha centrando un Marines che è rimasto ucciso, ragion per cui il Pentagono ha dovuto rivelare l’avamposto. Non era invece possibile nascondere lo spostamento in Qatar di due B-52, le Fortezze volanti hanno già colpito in Iraq, centrando con bombe intelligenti una fabbrica di armamenti a 60 chilometri da Mosul. L’utilizzo dei bombardieri strategici, la creazione di un avamposto di fuoco, lo schieramento di soldati in prima linea, l’appoggio degli Apache, sono tutti messaggi che la Casa Bianca invia per rilanciare l’impegno americano contro lo Stato islamico. Altre 200 forze speciali si uniranno alle 50 che appoggiano già la coalizione curdo-araba in Siria, nell’ottica dell’altra grande offensiva verso Raqqa.