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Che cosa è stato deciso a Vienna sulla Libia

Fayez Serraj, Libia, trenta

Le potenze mondiali sono pronte ad armare il proto-governo libico promosso dall’Onu e guidato dal premier designato Fayez Serraj. È questa la principale decisione del vertice di Vienna, organizzato ieri da Stati Uniti e Italia, cui hanno partecipato l’Onu, l’Europa e diverse nazioni regionali interessate dalla crisi in Libia.

L’UNICO GOVERNO RICONOSCIUTO

Con la consegna delle armi arriva l’ultima, forse definitiva, legittimazione internazionale a Serraj, da cui già le principali diplomazie occidentali si erano recate in visita: a tutti gli effetti, quello ancora non consolidato guidato dal businessman di Misurata è l’unico governo riconosciuto in Libia (ed è chiaro anche da questo quanto la situazione istituzionale sia caotica). I venti ministri degli Esteri presenti a Vienna hanno per questo approvato la volontà del premier di far insediare i suoi diciotto ministri nelle rispettive sedi, anche senza l’approvazione necessaria da parte dell’HoR, il parlamento in esilio volontario a Tobruk.

LE ARMI AI GUARDIANI DI SERRAJ

L’annuncio uscito dal vertice austriaco arriva a pochi giorni di distanza dall’avvio della creazione di un nuovo corpo militare in Libia, la Guardia presidenziale, comandato dal Consiglio presieduto di Serraj. Diecimila soldati libici, provenienti dalle milizie fedeli, che avranno il compito di garantire sicurezza e occuparsi in seguito di combattere lo Stato islamico, considerato a livello globale la minaccia principale in Libia. I guardiani di Tripoli riceveranno così armamenti avanzati e probabilmente addestramento da consulenti professionisti occidentali, come da richiesta diretta dello stesso futuro premier, che domenica alla vigilia del summit dalle colonne del Telegraph aveva chiesto sostegno piuttosto che il tanto discusso intervento militare diretto: “Non stiamo parlando di un intervento internazionale, stiamo parlando di assistenza internazionale nel campo della formazione, equipaggiamento delle nostre truppe”, ha ribadito lunedì durante la riunione.

SUGLI ARMAMENTI C’È ANCHE CHI È SCETTICO

La decisione presa a Vienna è un indirizzo, ma richiede ancora uno step operativo. Sulla Libia vige tuttora un embargo sulle armi alzato dalle Nazioni Unite in seguito all’inizio del conflitto interno, ora sarà il Comitato per le sanzioni dell’Onu a concedere la deroga nei confronti della Guardia presidenziale. Nel Consiglio di sicurezza permangono posizioni scettiche, come quelle della Russia (legata all’Egitto) e della Cina, che pur con distacco su tutto il dossier, continuano a temere che una volta inviate le armi nel territorio libico, queste possano finire in mani sbagliate. In effetti Serraj basa il suo consenso su accordi stretti con gruppi di potere politici, economici e militari tripolitani, milizie che hanno giurato fedeltà al Gna (il governo di accordo nazionale), ma che sono note per comportamenti volatili. Questi scetticismi sono stati apparentemente superati a Vienna, con Stati Uniti ed Europa che si sono fatte garanti. Da notare, comunque, che la Libia è già zeppa di armamenti d’ogni genere sottratti dopo il 2011 dai fornitissimi arsenali dell’ex rais Muammar Gheddafi, altri importati clandestinamente negli anni successivi.

I MIGRANTI

Oltre al capitolo Stato islamico, ad attirare l’attenzione attorno alla Libia c’è la questione immigrazione. “Non vediamo l’ora di collaborare con i Paesi vicini Gna per far fronte alla minaccia rappresentata in tutto il Mediterraneo, e sui suoi confini terrestri, da organizzazioni criminali impegnate in tutte le forme di contrabbando e traffico, tra cui quello degli esseri umani”, recita la dichiarazione congiunta post-summit.

IL RUOLO DI HAFTAR

Argomento a sé, ma necessariamente da integrare nel contesto, il ruolo del generale Khalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica protetto da attori internazionali come Egitto ed Emirati Arabi. “Haftar potrebbe rivelarsi un alleato importante nella guerra contro il terrorismo. Ma occorre che prima riconosca l’autorità del governo di Serraj”, ha detto il ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni, co-presidente della riunione di Vienna insieme all’omologo americano. Su Haftar, nei mesi passati considerato uno dei principali problemi del Paese, che sotto le pressioni sue e dei suoi mandatari ha sabotato ogni tentativo di riunificazione, è in corso da qualche settimana una sorta di riabilitazione diplomatica: l’Occidente s’è accorto che Serraj per il momento non ha la forza per allargare il proprio potere ad Est, e così cerca un dialogo con l’uomo forte cirenaico (e con i suoi sponsor), anche perché le forze che rispondono ai suoi comandi – con l’aiuto anche di qualche unità speciale occidentale – stanno avanzando sullo Stato islamico a Bengasi con risultati migliori dei misuratini dell’Ovest, che invece negli ultimi dieci giorni hanno perso terreno sui baghdadisti.


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