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Come s’ingrossa l’armata Brancaleone del No al referendum costituzionale

Di Leo Soto e Berardo Viola

Che si andasse al “tutti contro Renzi” sul referendum costituzionale era largamente previsto. Che però il processo di coagulo del fronte del no assumesse le forme tragicomiche che sta assumendo, forse neppure i più pessimisti lo avrebbero messo in conto qualche settimana fa. La Cgil milita da tempo nel campo ultraconservatore che considera la Costituzione Repubblicana il libro sacro di una fede rivelata, per ciò stesso immodificabile.

All’epoca della riforma scritta dal governo Berlusconi con l’expertise giuridica e politologica dei saggi di Lorenzago, la confederazione di corso Italia diede fiera battaglia. Eravamo nel 2005. Undici anni dopo – un granello di sabbia nella clessidra della storia – i nemici di ieri sono gli amici di oggi. A lavorar d’archivio, sarebbe facile mettere in fila le contumelie che sono volate per anni tra la Cgil e il berlusconiano Renato Brunetta, specie quando questi ricopriva la carica di ministro della Funzione Pubblica. Ma sarebbe una fatica inutile. A sottolineare il lato eccentrico di quest’inedita alleanza sarebbe bastato l’articolo che le ha dedicato sulla Stampa Ugo Magri ironizzando sul nuovo “sol dell’avvenire”, se Brunetta non lo avesse imprudentemente doppiato il giorno seguente con un’intervista, sempre alla Stampa, nella quale afferma che “i sindacati sono il sale della democrazia”, e altre cose così.

Comunque accanto a Susanna Camusso Brunetta troverà anche Maurizio Landini. Il leader Fiom si è unito alla compagnia del no da tempo. Ma come si sarà sentito scoprendo che a difendere le turrite mura della cittadella costituzionale ora c’è anche il capogruppo di Forza Italia alla Camera? Chissà, forse l’imbarazzo è reciproco. La saldatura tra opposti non si basa in realtà su sofisticati ragionamenti politici, segue semplicemente la regola, enunciata sempre da Brunetta, che “il nemico del mio nemico è mio amico”. Intendiamoci: la politica è anche questo. Ma quando il sentimento d’inimicizia viene spinto al parossismo ne possono derivare – a medio termine – effetti nefasti anche per coloro che l’hanno aizzato senza guardare per il sottile.

Scorriamo l’elenco del FUAM (FRONTE UNICO ANTI MATTEO): Grillo, Salvini, Meloni, Berlusconi, Salvini, Landini, Camusso, Magistratura Democratica, spezzoni non residuali dell’establishment, una buona fetta del mondo culturale e accademico. Cosa tiene insieme questa armata Brancaleone, a parte l’avversione per il premier? Nulla, se non l’urlo. Nulla, se non l’appello – di maniera ma non privo di una certa efficacia – alle corde più sensibili in un momento di crisi economica e sociale: il risentimento, la paura di essere depredati di ciò che si è faticosamente costruito, l’ansia per il futuro. E’, in una parola, la scorciatoia che un po’ semplicisticamente viene indicata come populismo. Comprensibile, persino giustificabile, se viene da una genuina spinta dal basso; odioso quando viene inculcato dall’alto, servendosi della retorica dello “sfruttamento” e usando i media per appiccicare sui dissenzienti l’etichetta di servi dei poteri forti.

Si arriva per questa via al capovolgimento totale della realtà: chi prova a cambiare – pur tra mille incongruenze e svarioni di sintassi politica – diventa il conservatore, mentre i fautori dell’immobilismo hanno gioco facile a presentarsi come progressisti. La vittoria del FUAM, come ha lasciato intendere Giorgio Napolitano nell’intervista rilasciata giorni fa ad Aldo Cazzullo, non aprirebbe la porta ad una riforma diversa; la chiuderebbe e basta, forse per sempre. Ancor più grave, si può aggiungere, si lascerebbe dietro un Paese tramortito, illividito dal rancore, pronto a cadere nelle braccia di demagoghi perfino peggiori di quelli da cui è infestato oggi.

Quel che succede a nord dei nostri confini – in Austria, in Francia, ma anche nel Regno Unito e in Germania – dovrebbe ammonirci sui rischi che possono derivare quando si scherza col fuoco della rivolta contro le élite. Perché la rivolta c’è, ed ha anche solidi fondamenti, ma chi la cavalca mira a piegarne le energie a proprio favore, a costruire prigioni con le sbarre più strette, altro che “nuovi modelli di democrazia partecipativa”, come canta qualche sirena incantatrice. A proposito di canzoni: forse abbiamo esagerato dicendo che l’unico collante del FUAM è l’astio verso Renzi. In comune infatti hanno anche l’inno: “L’Italia fa schifo”, un po’ rozzo ma di grande presa, a giudicare da quanti intorno a noi lo canticchiano a tutte le ore del giorno e della notte. E’ una cantilena lagnosa, cui vorremmo replicare non in versi ma in prosa, quella di un giovane lettore del Venerdì che, in una lettera indirizzata a Michele Serra, confessa tutto il suo fastidio per la moda corrente del piagnisteo, specie se confrontata con le sofferenze patite dalle generazioni passate. Un antidoto contro la cicuta del vittimismo: “…mai prima e in nessuna parte del mondo (il riferimento è all’Italia e all’Europa occidentale) un così gran numero di uomini e donne ha beneficiato di tanto cibo, benessere, libertà, pace, sicurezza, salute…sono un giulivo babbeo? Babbeo forse, giulivo garantisco di no. Un cinico cieco e sordo davanti alle sofferenze di tanti nostri concittadini e a classifiche spesso disonorevoli per il nostro Paese? Spero di no, la mia prospettiva è uno sguardo d’insieme, relativo a storia e geografia. E quindi, caro Serra, la prossima volta che un amico o meglio ancora un’amica lamentarsi di tutto, non le chiederò certo se ha mai avuto un marito o un figlio deportato, morto in guerra o di fame o di freddo o per un’infezione: non sono così stronzo. Ma una cosa gliela domanderò: se ha mai lavato delle lenzuola sporche a mano”.



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