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Contratto metalmeccanici, perché lo stallo rischia di affossare le relazioni industriali

Di Leo Soto e Berardo Viola
Fabio Storchi

Un proverbio abruzzese recita: la cera si consuma, ma il morto non cammina. A vedere come procede la trattativa sul rinnovo del contratto dei metalmeccanici, c’è da dire che le cose stanno andando proprio così. La cera negoziale si consuma, ma il negoziato non va avanti e rischia di avvitarsi in una spirale senza via d’uscita. Infatti da quel 5 novembre del 2015, quando furono presentate le piattaforme di Fim e Uilm e quella della Fiom (che da 8 anni non rinnova il contratto dei meccanici), sono passati ormai sette mesi, un’era geologica nel contesto politico e sociale che stiamo vivendo. Tanto che Federmeccanica ha fatto il miracolo di ricompattare un fronte sindacale diviso da anni.

A guardare più a fondo in questa vicenda, senza entrare nel merito delle posizioni delle diverse parti, c’è un problema che pare prevalere su tutti, fa notare un addetto ai lavori: forse qualcuno non sta facendo il proprio mestiere. Eppure le premesse con cui la trattativa si era aperta erano decisamente altre: si parlava di fare un contratto innovativo, veloce, di rompere coi logori rituali del passato. Le azioni, evidentemente, non sono state all’altezza della retorica.

Che vi sia una crisi della rappresentanza dei corpi intermedi è indubbiamente vero, e il premier Matteo Renzi gongolano non poco per il logoramento dei sindacati, ma questa non riguarda solo partiti e sindacati: il sistema confindustriale – e Federmeccanica dovrebbe saperlo bene – ne è investito allo stesso modo. Il terremoto Fiat (oggi FCA) ha dimostrato come si possano avere solide e stabili relazioni industriali anche restando fuori dal perimetro associativo, facendo a meno dell’assistenza di Confindustria quando questa si rivela più una palla al piede che uno strumento utile ad affrontare la competizione sul mercato.

Un rischio che i vertici di viale dell’Astronomia non possono non tenere in considerazione perché se uscissero altri grandi gruppi – talvolta Mauro Moretti di Finmeccanica ha accennato alla possibilità – si aprirebbe una falla che potrebbe portarsi dietro anche altri e a quel punto l’emorragia potrebbe essere inarrestabile.

E’ evidente che la trattativa tra Federmeccanica e sindacati travalica il significato di un rinnovo contrattuale ancorché importantissimo. E ciò perché per l’associazione guidata da Fabio Storchi, forse molto più che per il sindacato, si tratta di fornire una prova concreta dell’utilità della rappresentanza nei confronti del sistema delle imprese.

A leggere superficialmente la cronaca, si ha l’impressione che lo sfoggio di muscoli di Federmeccanica, che non ha modificato di una virgola la sua posizione rispetto alla propria posizione presentata all’inizio delle trattative, sia da ascrivere a ragioni tattiche.

Invece un’analisi più approfondita rivela che le cose stanno diversamente. Il gioco duro paga quando un negoziato è alle battute iniziali, ma dopo sei mesi e un’infinità di incontri, la tattica migliore se si è realmente alla ricerca di un’intesa è quella di trovare una mediazione, una mediazione – va da sé – che sappia cogliere alcuni dei risultati che stanno a cuore alla base associativa.

I sindacati, da parte loro, uno sforzo di sintesi, nonostante le divisioni del recente passato, lo hanno compiuto e negli ultimi tempi hanno moltiplicato gli appelli a fare il contratto. Persino la Fiom, il più conservatore e ideologico tra i sindacati metalmeccanici, ha assunto un atteggiamento responsabile, al quale non è estraneo, forse, l’interesse del suo catodico leader Maurizio Landini – vicino alla scadenza di mandato e inseguito dall’ombra dei fallimenti con Fiat, sul fronte sindacale, e con la Coalizione Sociale, su quello politico – ad incassare le fiches del rinnovo per poi giocarsele su un altro tavolo, quello della Cgil, quando sarà il momento di puntare per la successione di Susanna Camusso. Si tratterà poi di vedere se Landini saprà muoversi da accorto pokerista oppure se, come gli è accaduto ogni volta che ha tentato l’avventura in politica, lascerà prevalere la sua natura irruente.

Lasciando da parte gli azzardi del leader Fiom, forse non ci è resi conto abbastanza dell’importanza che riveste il fattore tempo nella trattativa dei metalmeccanici. A rischiare il logoramento non sono infatti solo i suoi protagonisti, ma l’intero sistema di relazioni industriali. Finora il governo ha evitato di intervenire con una legge sui contratti, una mossa che, se accompagnata dall’introduzione del salario minimo legale, avrebbe l’effetto di ridurre in modo drastico il raggio d’azione delle rappresentanze sociali, così costringendole quasi ad uno ruolo di testimonianza. Ma ha anche fatto capire a più riprese che non intende attendere in eterno. Anche per l’associazione degli imprenditori, oltre che per i sindacati dei lavoratori, ignorare la realtà significa scherzare col fuoco.



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