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Perché difendo la riforma Renzi-Boschi della Costituzione

Giorgio Napolitano, ospite domenica scorsa della trasmissione di Rai3 Che tempo che fa, è tornato a ribadire la sua posizione: “Ci vuole libertà per tutti, ma nessuno però può dire: io difendo la Costituzione votando no e gli altri non lo fanno. Dire questo offende anche me. Mi reca un’offesa profonda“.

L’antifascismo e la guerra partigiana non hanno nulla a che vedere con la riforma del Senato. “Ed è allora comprensibile, persino ovvio – ha scritto Il Foglioche l’antifascista Napolitano, che sul patriottismo costituzionale ha imperniato la sua presidenza della Repubblica, ora si senta insultato, offeso, lui che le riforme le ha sempre sostenute, e da molto prima che Renzi nascesse (non solo politicamente)“. Specie se si considera, come ha scritto Pietro Ichino nella lettera aperta che ha indirizzato al presidente dell’ANPI, Carlo Smuraglia, che “il contenuto essenziale di questa riforma – dipendenza del Governo dalla fiducia della sola Camera dei Deputati e Senato come rappresentanza delle Autonomie locali – è quello che da decenni è stato indicato come necessario da numerosi grandi personaggi che hanno dato vita e voce alla democrazia nel nostro Paese, da Berlinguer a Zaccagnini, da Zanone a Ingrao, da Iotti a Pannella: potrai sostenere che il modo in cui questo mutamento essenziale è stato concretato nella legge di riforma è imperfetto, ma non che proporlo sia intrinsecamente contrario agli intendimenti fondamentali e immutabili della Carta“.

Non per caso, Giorgio Napolitano, intervenendo alla Scuola di politiche di Enrico Letta, è tornato sul punto citando la testimonianza di Giuseppe Dossetti. La “sindrome dell’ipergarantismo” che animò Dc e Pci durante l’Assemblea costituente all’indomani della rottura tra i due partiti legata all’inizio della guerra fredda, ha spiegato il Presidente emerito della Repubblica, generò “le due debolezze fatali della seconda parte della Costituzione repubblicana: la posizione di minorità dell’esecutivo nell’equilibrio dei poteri” e “il bicameralismo paritario su cui si cominciò a discutere il giorno stesso in cui terminarono i lavori dell’Assembela costituente“. In pratica, in vista delle elezioni del 1948, “di fronte al timore di perdere quella sfida, presente tanto nella Democrazia cristiana, quanto nella sinistra (comunisti e socialisti), scattò la sindrome di quello che Dossetti chiamò l’ipergarantismo. Sapendo che può vincere anche l’altro, bisogna garantirsi il più possibile che non abbia la possibilità di fare danni irreparabili“. La preoccupazione fu dunque quella di “garantirsi che non si determinassero situazioni in cui il vincitore potesse con poche cautele, con poche garanzie, esercitare il potere che gli avrebbe garantito il risultato elettorale“.

Nella dichiarazione di voto finale che ho svolto in aula al Senato nella seduta del 8 agosto 2014  ero partito, appunto, da qui: “È dalla scomparsa della divisione del mondo in due blocchi che il Muro ha simboleggiato – dunque, da almeno venticinque anni – che sono venute meno le ragioni del bicameralismo ripetitivo voluto dai Costituenti, in un processo segnato, più che negli altri Paesi, dalla Guerra fredda. Non è un mistero per nessuno, infatti, che fu voluto dalla Costituente un sistema di Governo debole perché nessuno schieramento politico potesse vincere fino in fondo e nessuno potesse essere tagliato fuori del tutto dal Governo; un Parlamento lento e ripetitivo sarebbe stato utile freno, volto espressamente a sfiancare qualunque maggioranza uscita dalle urne (…) e la presenza di due Camere investite degli stessi poteri di indirizzo politico e degli stessi poteri legislativi è la contraddizione più vistosa, che non ha eguali in altre democrazie parlamentari“.

Sul bicameralismo come strumento volutamente “di blocco” della decisione politica, rimando al volume “A colloquio con Dossetti e Lazzati” curato da Leopoldo Elia e Pietro Scoppola, il Mulino editore. Rimando anche alle pagine del programma di governo del PDS del 1994 riapparse su Facebook in questi giorni con la nota: “Ringraziamo il governo Renzi per aver attuato in larga parte il programma di governo del PDS del 1994“. Tanto per ricordare.


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