Credevo, povero ingenuo o incolto, che di “magistratura costituzionale” ce ne fosse soltanto una: quella dell’omonima Corte, la cui sede è davanti al Quirinale, nel Palazzo della Consulta. Dove 15 giudici “nominati per un terzo dal presidente della Repubblica, per un terzo dal Parlamento e per un terzo dalle supreme magistrature ordinaria ed amministrative”, come prescrive l’articolo 135 della Costituzione, decidono in modo inappellabile sulla conformità delle leggi alla stessa Costituzione, sui conflitti di competenza fra i poteri dello Stato e sulle accuse promosse dal Parlamento contro il presidente della Repubblica. E dicono l’ultima parola sull’ammissibilità dei quesiti referendari.
Ebbene, mi sbagliavo. E con me sbagliano anche quanti, meno incolti o sprovveduti di me, dovessero avere la stessa opinione leggendo, evidentemente con superficialità, la Costituzione in vigore dal 1948, ma in attesa di riforma con il referendum d’autunno sulle modifiche appena approvate dalle Camere con la maggioranza inferiore ai due terzi. Una riforma che Matteo Renzi ha voluto intestarsi sino a giocarsi la carriera politica.
Il procuratore generale della Corte d’Appello di Palermo, Roberto Scarpinato, non certo l’ultima toga d’Italia, politicamente pizzicato solo dal mancato ministro dello Sviluppo Economico Chicco Testa, ha cercato di convincere i lettori di Repubblica, in una lunga intervista, che le cose non stanno così. L’esclusiva della Corte Costituzionale gli appare evidentemente più apparente che effettiva.
Molto preso dal suo ruolo, Scarpinato ritiene che l’aggettivo “costituzionale”, pure ai fini di quella che lui chiama “vigilanza”, spetti anche alla magistratura “ordinaria”. Una vigilanza estesa, testualmente, alla “lealtà costituzionale delle contingenti maggioranze di governo”, e delle leggi che esse producono. Fra le quali, peraltro, ci sono esponenti o correnti della magistratura che mostrano di includere anche le modifiche alla Costituzione, che non sono introdotte con norme ordinarie. E contro la cui ratifica referendaria gli uni o le altre, o entrambi, rivendicano il diritto di parlare e agire, aderendo anche ai comitati del no. E pazienza se non sono d’accordo i vertici del Consiglio Superiore della Magistratura, a cominciare dal presidente. Che è anche il capo dello Stato.
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Il motivo, che qualcuno preferirà magari chiamare pretesto, addotto da Scarpinato per la sua interpretazione, diciamo così, estensiva del ruolo della magistratura ordinaria è l’iniziativa ad essa riconosciuta di considerare fondata o no la richiesta, in un processo, di impugnare davanti alla Corte Costituzionale la legittimità di una norma.
Un altro motivo, ancora più a monte, è stato indicato da Scarpinato nell’articolo 3 della Costituzione. Esso assegna alla Repubblica “il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Un articolo, questo, che indusse a suo tempo lo stesso Scarpinato a preferire la magistratura alla carriera cominciata nella Banca d’Italia. Dove evidentemente egli non sentiva di poter fare più di tanto per favorire l’uguaglianza, piuttosto che i dislivelli sociali.
Funzionale a questo obiettivo sarebbe anche la salvaguardia delle regole del gioco politico, per evitare che si formino artificiosamente maggioranze che non garantiscono abbastanza la rappresentanza, anzi penalizzano troppo le minoranze o opposizioni. Anche da queste situazioni o contraddizioni potrebbero derivare intralci al perseguimento delle finalità sociali della Costituzione, a vantaggio delle crescenti spinte “liberiste”, di livello nazionale ma ancor più internazionale: un livello, quest’ultimo, sempre più influente, anzi decisivo. Lo dimostrano i vincoli che derivano all’economia e alle politiche sociali dell’Italia e degli altri Paesi dall’appartenenza all’Unione Europea, evidentemente liberista quant’altri mai.
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Derivano da questi ragionamenti, o da queste sensibilità, due processi, chiamiamoli così, che Scarpinato ha fatto nella sua intervista. Uno alla nuova legge elettorale, targata anch’essa Renzi, che potrebbe consentire ad una maggioranza di essere troppo rappresentata, o alle minoranze di soccombere più del giusto. E l’altro alla parità di bilancio praticamente imposto dall’Unione Europea con la modifica introdotta 4 anni fa all’articolo 81 della Costituzione per impedire che le tutele delle salvaguardie sociali, e in fondo lo stesso sviluppo economico, siano perseguite usando anche la leva del deficit.
Più ho letto e riletto Scarpinato con i miei occhiali, forse troppo abituati alla politica, e più mi sono interrogato sulla natura giudiziaria dei suoi ragionamenti. Peccato, ripeto, che se ne sia accorto in sede politica, almeno sinora, solo Chicco Testa. Gli altri, tutti zitti.