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Il capo di CentCom va in Siria e i ribelli partono per Raqqa

Martedì una coalizione ribelle siriana che va sotto l’acronimo di SDF ha annunciato l’inizio di una (molto attesa) campagna militare diretta verso Raqqa, la capitale dello Stato islamico in Siria.

METTERE PRESSIONE

La Syrian Democratic Force (SDF) è un raggruppamento di milizie dove l’Ypg curdo ha quota maggioritaria, poi vengono fazioni arabe e siriache (cristiane), composto, secondo i numeri che girano in questi giorni, da 30 mila uomini armati (di questi 25 mila curdi). SDF riceve da tempo il sostegno americano, e in occasione delle nuova offensiva anche Mosca avrebbe promesso l’appoggio aereo (da tempo si parla del fatto che i russi stiano anche fornendo armamenti ai curdi siriani). Washington qualche mese fa ha disposto l’invio di un gruppo di 50 operatori delle forze speciali con funzioni di advisor al fianco di questi ribelli, che in effetti con il supporto tattico (e forse anche operativo) dei soldati americani hanno iniziato una trend vittorioso nella fascia nord siriana, che li ha portati adesso ad essere pronti per il grande obiettivo dell’intera operazione: accerchiare Raqqa partendo da nord, cercare di tagliare le vie di collegamento della capitale con le altre aree del Califfato, stringere l’assedio. Successivamente si penserà a riconquistare la città, per stessa ammissione del colonnello Steven Warren, portavoce della Coalizione anti-Is guidata da gli Stati Uniti, che ha parlato di un’operazione “per mettere pressione” al Califfo.

MESI DI PREPARAZIONE VERSO LE ROCCAFORTI DELL’IS

La campagna è in preparazione da mesi, e rientra nel grande intento annunciato dalla Casa Bianca per il 2016, riconquistare le roccaforti statuali dell’Is in Iraq e Siria. Il progetto è più raggiungibile in Siria, sebbene Raqqa non cadrà in breve tempo, dove gli Stati Uniti hanno alleati più plasmabili, piuttosto che in Iraq, dove prendere Mosul (la roccaforte dei baghdadisti nel paese) è un piano altrettanto ambizioso che deve passare attraverso il vaglio di Baghdad, e dunque delle milizie sciite, degli iraniani e infine della Russia. Infatti due giorni fa il governo iracheno ha annunciato una grande offensiva, che però non si dirigerà al nord verso Mosul, ma ad ovest, su Falluja, città più piccola, con legami ancestrali col gruppo di Abu Bakr al Baghdadi, la cui riconquista è considerata strategica dagli sciiti perché significherebbe allontanare i baghdadisti chilometri e chilometri da Baghdad.

LA VISITA DI VOTEL

Al nord della Siria i preparativi americani all’offensiva non sono mai stati troppo segreti: dopo l’annuncio dell’invio dei primi cinquanta soldati, ci sono state le rivelazioni, poi ammesse, della costruzione di una base mobile a Rmelian per far da background, e successivamente è stato dichiarato l’invio di una altro paio di centinaia di operatori delle forze speciali nell’area. Fin qui siamo a due mesi fa; tre giorni fa invece c’è stata anche la visita del capo di CentCom direttamente sul campo, ossia il più alto ufficiale del Pentagono per quel che riguarda il quadrante strategico mediorientale, si è recato in un paese ufficialmente ostile, in un territorio dove una milizia amica (ma che segue più che altro agende personali) sta conducendo un’offensiva verso la capitale del più forte gruppo jihadista di tutti i tempi. Joseph Votel, accompagnato da un gruppo di reporter che avevano come regola di non diffondere notizie prima di aver lasciato il paese, ha anche un record: è il più alto in grado ad aver visitato la Siria dall’inizio delle operazioni contro lo Stato islamico. Il generale è atterrato “nell’avamposto polveroso” dove fanno base gli americani e poi ha lasciato lì i giornalisti che lo avevano accompagnato e “fatto visita ad alcune località segrete nell’area”: i virgolettati sono presi dal racconto del Guardian, che scrive che tra le regole poste ai giornalisti c’era anche non poter rivelare il luogo in cui il comandante è atterrato, ma è del tutto lecito pensare che sia arrivato proprio a Rmelian. Votel è l’ex capo del SoCom, il comando forze speciali del Pentagono e un ex Ranger, dunque ha famigliarità col campo di battaglia, ed è possibile che sia stato accompagnato in prima linea dove gli advisor militari affiancano i combattenti dell’Sdf.

COLLABORAZIONE USA-RUSSIA

Difficile che l’aereo che ha trasportato Votel & Co. possa essere entrato in Siria senza il consenso dei russi, che monitorano l’area di confine con la Turchia (nemica) costantemente e sono i veri proprietari dei cieli siriani. Il consenso al viaggio potrebbe essere un anticipazione di una qualche forma di collaborazione tra Mosca e Washington che su Raqqa potrebbe davvero materializzarsi (la scorsa settimana dal Cremlino era stata avanzata una proposta per operatività congiunta su Aleppo, ma gli americani l’aveva respinta perché badava troppo agli interessi russi). Martedì lo Stato islamico ha rivendicato di aver fatto esplodere, molto più a sud, all’interno della base T4 utilizzata dai russi per controllare la supply line Homs-Raqqa dei baghdadisti, quattro elicotteri da combattimento e 20 cisterne di carburante con un attacco missilistico; c’è ancora da capire se il rivendico sia vero o il gruppo abbia approfittato di un incedente all’interno della base per farsi propaganda, come sostiene il governo di Mosca. Domenica però una serie di attentati coordinati e contemporanei ha ucciso circa centocinquanta persone molto più a est, tra Tartus e Jableh, dove i russi hanno una base navale e una aerea. La bolla di sicurezza russa in Siria è comunque stata violata per la prima volta (forse due), i russi smentiscono le preoccupazioni, ma la ricerca di collaborazione americana è anche una necessità, oltre che una spinta per il tavolo negoziale.

(Foto: Twitter @QSDPress, combattenti della Sdf)

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