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Perché gli Stati non ascoltano troppo Papa Francesco sui migranti

Papa Francesco e Angela Merkel

Dire “Europa” è dire cristianesimo. Per secoli la parola è stata un’altra: “Civitas Christiana”. Come aveva capito Benedetto Croce: “Perché non possiamo non dirci cristiani”. Per la semplice ragione che i valori europei, anche quando diverranno laici, sono e rimangono cristiani. Quei valori che il Premio Carlo Magno di Aquisgrana esalta ogni anno dal 1950. Esso viene conferito a personalità (più o meno) eminenti nella integrazione e unione dell’Europa. È stato assegnato anche a Valery Giscard d’Estaing, il più deciso artefice della esclusione di ogni riferimento al cristianesimo nella Carta dell’Unione. Quest’anno è toccato a Bergoglio, secondo papa a riceverlo dopo Wojtyla. Alla consegna del premio, fatta dalla Merkel, erano presenti in Vaticano le principali autorità dell’Unione Europea. Una premiazione avvenuta nel momento in cui i motivi di divisione prevalgono in Europa su quelli di unità. Papa Francesco nel ringraziamento ha riconfermato il suo progetto sull’Europa: “Un nuovo e coraggioso slancio di integrazione, dialogo, generazione”. In nome del cristianesimo, ma ancor più del multiculturalismo. Naturalmente, come sempre, il papa ci ha messo il cuore. La situazione dei migranti è sempre più drammatica ed è giusto che l’Europa venga loro incontro.

La ricetta di Bergoglio è nota: occorre aiutarli a venire e accoglierli tutti, sono fratelli che chiedono aiuto. Anche se, oltre ai fuggiaschi dalla guerra e dalle dittature, ci sono anche migranti in cerca di una migliore condizione di vita e, purtroppo, anche terroristi. “Migrare non è un delitto”, ha detto Francesco. Giustissimo, i delitti avvengono dopo l’arrivo. L’appello del papa è sincero, ma trascura la possibile occupazione dell’Europa da parte di una cultura che, a differenza dalla nostra, esprime una religione forte e non accetta l’integrazione nei valori europei dello stato di diritto, del pluralismo, della libertà delle donne, della distinzione di Stato e Chiesa, della democrazia fondata sulla legge naturale.

Rivendicare, come ha fatto il papa, una “cultura del dialogo e dell’incontro”, è senza dubbio giusto. Ma si tratta di una via accettata anche dall’altra parte? Nel suo discorso il papa, per scuotere le coscienze, ha usato più la frusta che la misericordia. Ha rimproverato agli europei i loro difetti con parole dure come proiettili: l’Europa è vecchia e stanca, come una nonna sterile; se ci sono i migranti, la colpa è sua, che per troppo tempo ha sfruttato le loro nazioni; l’economia europea, priva di socialità, favorisce la corruzione e tende al profitto. Il premio europeo lo ha accettato volentieri, ciò che non accetta è l’Europa che glielo ha assegnato, la definisce “decaduta”. Si tratta, del resto, di quelle colpe, che papa Francesco rimprovera ogni giorno agli europei, mentre in nome della Chiesa presenta le scuse ai popoli non europei per il male che le nazioni europee hanno loro fatto.

Anche se le parole del papa sono dettate da carità, trascurano quanto l’Europa ha fatto e continua a fare per migliorare le condizioni di vita dei popoli poveri. Il colonialismo e il capitalismo non sono stati solo sfruttamento. La soluzione non è il multiculturalismo, come affermava Benedetto XVI, profondo conoscitore dell’Europa e forse proprio perciò non premiato col Karlpreis: “La multiculturalità è talvolta soprattutto abbandono e rinnegamento di ciò che è proprio, l’odio patologico dell’Occidente verso se stesso, che nella sua storia vede solo ciò che è deprecabile e distruttivo, ma non ciò che è grande e puro” (J. Ratzinger, Senza radici: Europa, relativismo, cristianesimo, islam, Mondadori 2004, p. 71).

Unanime, naturalmente, il consenso alle parole di papa Francesco. Tanti gli applausi, ma tutte le autorità presenti stanno prendendo iniziative diverse dai precetti utopici del Papa.

Massimo esempio la Merkel, che da sempre a parole esalta l’accoglienza e l’integrazione, ma nei fatti deve anch’essa frenare l’invasione. Angela nella Fiction, nega di voler controllare le frontiere, ma Cancelliera nel Reality, ha chiesto (insieme con Austria, Francia, Belgio, Danimarca e Svezia) la sospensione di Schengen; e ha ottenuto di girare forti somme europee alla Turchia perché freni l’invasione dell’Europa attraverso i Balcani. Mettendo così indirettamente nei guai l’Italia, oggi prima via di penetrazione in Europa. Uno statista che aprisse del tutto le frontiere, sarebbe un incosciente. E andrebbe contro la volontà del popolo: i partiti che chiedono controlli sull’emigrazione crescono dovunque e guadagnano voti, in una Germania chiamata presto alle elezioni li stanno togliendo anche alla Merkel.

Che in Vaticano si mostra brava cristiana, pur sapendo che nella pratica politica il modello non può essere Savonarola (o Bergoglio), bensì Machiavelli: “Gli Stati non si governano con i paternoster”. Come, peraltro, sapeva Carlo Magno, quando difese l’Europa dalle invasioni degli islamici e dei sassoni. Richiamare gli europei al dovere di solidarietà e di accoglienza è certo giusto. Il Papa non ha fatto altro che il suo mestiere. Toccherà alle singole nazioni (purtroppo in una Unione europea dove crescono conflitti e lacerazioni) stabilire i modi e i limiti in cui realizzarle. Per molte ragioni (non solo guerra, ma anche crescita della popolazione mondiale e insufficienza delle risorse) le migrazioni aumenteranno ogni anno. Certo l’intenzione di papa Francesco è schietta e lodevole. Ma sappiamo anche dove, non di rado, conduce la via lastricata solo dalle buone intenzioni.

(Articolo pubblicato sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi)

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