Teheran ha comunicato che i fedeli iraniani non parteciperanno al consueto pellegrinaggio alla Mecca. “A causa del sabotaggio in corso da parte del governo saudita” si rende noto che ai “pellegrini iraniani è stato negato il privilegio di frequentare il hajj di quest’anno, e la responsabilità per questo spetta al governo dell’Arabia Saudita” dice una nota dell’ufficio incaricato diffusa dalle Tv statali in Iran. Sullo sfondo di questa decisione le secolari tensioni che dividono la Repubblica islamica, protettrice del mondo sciita, e il regno, riferimento per i paesi sunniti: la spaccatura ideologica ha fatto nel corso degli anni da bacino colturale per lotte e guerre che riguardano interessi economici e superiorità geopolitica nella regione mediorientale.
L’HAJJ
Riad sovrintende il pellegrinaggio che sposta circa due milioni di fedeli musulmani appartenenti alle diverse confessioni, e protegge i luoghi sacri dell’Islam. “Il pellegrinaggio (l’hajj. ndr) è uno dei cinque pilastri dell’Islam, da eseguire, se si può, almeno una volta nella vita” spiega a Formiche.net Lorenzo Declich, esperto italiano di mondo islamico contemporaneo, traduttore e autore di diversi saggi (l’ultimo, uscito all’inizio di maggio, “L’Islam in 20 parole“). “In questo dovere di ogni musulmano non ci sono distinzioni fra sunniti e sciiti” aggiunge. Eppure, quello che potrebbe sembrare un punto di contatto tra le due principali confessioni all’interno del mondo musulmano si trasforma in un nuovo espediente di divisione, dopo anni di dialettica sul chi dovesse essere il protettore dei punti di culto dei fedeli. “I due paesi non sono riusciti ad accordarsi sull’organizzazione dell’hajj di settembre (ci sono comitati e istituzioni statali che si occupano dell’evento, visto le sue dimensioni. ndr) e così Teheran ha annunciato che quest’anno gli iraniani non parteciperanno” dice Declich.
L’INCIDENTE E L’ESECUZIONE
La linea ufficiale iraniana utilizza le centinaia di morti seguite all’ultimo incidente durante l’hajj dell’anno scorso per contestare l’incapacità saudita di garantire la sicurezza dei fedeli. Nel settembre del 2015 si verificò una delle più grosse disgrazie della storia della manifestazione religiosa: morirono centinaia di persone, con il cui numero definitivo che è ancora avvolto dal mistero. Riad ha dichiarato 769 morti, ma inchieste indipendenti condotte dall’Associated Press hanno ricostruito cifre notevolmente superiori che alla fine hanno superato i duemila. L’occasione del disastro, non il primo, in cui morirono oltre quattrocento cittadini iraniani, fu l’inizio di una nuova fase di tensione crescente tra i due Paesi che culminò con l‘esecuzione di Nimr al Nimr, storico chierico sciita giustiziato in Arabia Saudita ad inizio anno; un “missile virtuale” (definizione di Alberto Negri) lanciato dai sauditi contro Teheran. Toby Matthiesen, esperto di Arabia Saudita presso l’Università di Oxford, ricordò in quell’occasione sul Washington Post che l’uccisione dell’imam era considerata «una linea rossa» nei già precari rapporti tra iraniani e sauditi, e infatti si portò dietro la chiusura dei già flebili contatti diplomatici.
LE GUERRE NELLA REGIONE
Riad e Teheran giocano il proprio ruolo nel quadrante mediorientale con l’interesse, spinto dall’ideologia, di egemonizzare la regione. Mentre l’Arabia Saudita s’è fatta promotrice e capofila di un’alleanza militare definita “Nato islamica” che incorpora in sé tutti i più importanti paesi sunniti di Medio Oriente e Nord Africa, l’Iran continua a tessere le proprie trame in modo più subdolo attraverso gli influenti partiti/milizia sciiti appoggiati non solo dal punto di vista ideologico-culturale, ma anche finanziario e militare. Una sorta di internazionale sciita, che va dall’Iran alla Siria, al Libano, all’Iraq, allo Yemen, territori in cui spesso si consuma la guerra per procura con gli eserciti o i gruppi combattenti sostenuti dai sunniti. Per esempio, la guerra per proxy in Siria, dove i miliziani filo-iraniani locali, appoggiati dagli Hezbollah libanesi e da gruppi analoghi afghani, iracheni, azeri, sono i protagonisti degli scontri sanguinosi con i ribelli siriani sunniti, finanziati e armati dagli Stati del Golfo guidati da Riad. Oppure in Yemen, dove i ribelli houthi, confessione filo-sciita, hanno ricevuto armi e logistica dall’Iran per lanciare l’offensiva che ha fatto cadere il governo di Sanaa e s’è portata dietro il primo intervento operativo della coalizione arabo-sunnita guidata dall’Arabia Saudita; i primi effetti, che in realtà durano già da mesi, sono stati disastrosi, gli Houthi non si sono ritirati, e a finire sotto i colpi dei (tecnologici, ma poco abituati alla guerra) soldati del Golfo sono stati soprattutto i civili.
LA GUERRA SUL PETROLIO
L’altro scontro si gioca sul piano economico. La firma dell’intesa sul nucleare militare ha portato come conseguenza l’abolizione delle sanzioni economiche all’Iran, e questo significa che Teheran può riprendere le esportazioni di petrolio (e gas) senza limiti. È proprio questa volontà che ha fatto da freno a un’intesa, imbastita a febbraio in sede Opec tra Arabia Saudita e Russia (anche se Mosca non fa parte dell’Organizzazione), sul congelamento delle produzioni; una necessità per favorire il rialzo dei prezzi, tornati ad attestarsi intorno ai 50 dollari al barile in questo mese dopo mesi in cui si era scesi addirittura sotto i trenta (pochi giorni è stata superata per la prima volta nel 2016 la soglia dei Fifty, un passaggio che è stato festeggiato, e pensare che nel 2014 si viaggiava ancora sopra i 111 $/barile). Riad aveva inizialmente accettato la proposta di Mosca di bloccare le produzioni ai ritmi (già alti) di gennaio 2015, ma ponendo come vincolo l’accettazione da parte di Teheran dell’intesa. Gli aytollah invece hanno comunicato di non aver nessuna intenzione di mettere un tetto al proprio mercato, che in questo momento inizia a riprendersi dopo anni di sanzioni internazionali e così i sauditi ad aprile hanno fatto saltare l’accordo, che avrebbe permesso al prezzo del petrolio di stabilizzarsi. Una dimostrazione di come le guerre mediorientali possano avere un contro-scenario globale.
(Foto: Flickr, La Mecca, l’hajj del 2008)