Fra i tantissimi articoli letti in memoria di Marco Pannella, mi ha colpito di più per il contenuto e per il giornale che l’ha diffuso – l’Unità – quello di Fabrizio Rondolino, già collaboratore di Massimo D’Alema e oggi fra i più vicini, se non il più vicino in assoluto a Matteo Renzi.
“Quel che è certo è che la sinistra come la conosciamo oggi in Italia – ha scritto testualmente Rondolino – è figlia più di Pannella (e di Craxi) che di Berlinguer e di Moro, sebbene i radicali e i socialisti nel Pd siano pochissimi”. “E questo – ha aggiunto in un inciso – è uno dei tanti paradossi italiani”.
Il coraggio di Rondolino è stato solo parzialmente riversato nel titolo, si presume dal direttore uscente del quotidiano fondato da Antonio Gramsci: “La sinistra di oggi, più sua che di Berlinguer e Moro”. Dove per sua s’intende naturalmente Pannella, ma manca il riferimento di Rondolino anche a Bettino Craxi. Che evidentemente è ritenuto da Erasmo D’Angelis, il direttore appunto dell’Unità di cui è stata annunciata un’imminente sostituzione, un personaggio ancora troppo scomodo, diciamo pure indigesto ad una certa nomenclatura e militanza del Pd già sofferente per la svolta riformista impressa al partito da Renzi.
Si può ben considerare tanto galeotta quanto clamorosa quella parentesi dedicata da Rondolino allo scomparso leader socialista, che in effetti con Pannella condusse tante battaglie, pur dissentendo da altre. Egli condivise, per esempio, le cause del divorzio, dell’aborto, della responsabilità civile dei magistrati. Dissentì invece dalla liberalizzazione della droga e dalla rinuncia al Concordato con la Chiesa, che Craxi preferì rinegoziare, riuscendo in una trattativa tentata inutilmente dai suoi predecessori. E raccontò poi scherzosamente di essersene scusato con un busto del suo amatissimo Giuseppe Garibaldi, cui Pannella s’ispirava invece nella sua posizione anticoncordataria. Che tuttavia non gli impediva di tenere eccellenti rapporti personali con Pontefici ed altre gerarchie ecclesiastiche, in una miscela di felici contraddizioni di cui solo lui era capace, come dimostra la sua ultima, struggente lettera a Papa Francesco, con quel finale “ti voglio bene davvero”.
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La sacralità della figura di Enrico Berlinguer, un leader forse ancora più popolare del mitico ma ormai lontanissimo Palmiro Togliatti nella memoria dei comunisti italiani, è già stata messa in discussione sull’Unità di conio, diciamo così, renziano con un ampio, approfondito e non monocorde dibattito. Al quale peraltro, a torto o a ragione, molti nel Pd hanno attribuito buona parte della perdita di copie, e dei conseguenti problemi economici della tormentata testata, già scomparsa due volte dalle edicole negli ultimi anni.
Figuriamoci che cosa accadrebbe – si deve essere chiesto il direttore titolando l’articolo di Rondolino – se adesso si apre un dibattito anche su quello che viene ancora considerato da parecchi nel Pd il nemico storico Craxi. Del quale, in verità, ha potuto scrivere di recente sull’Unità l’ex dirigente socialista Fabrizio Cicchitto, poi capogruppo di Forza Italia alla Camera e ora fra gli esponenti del partito di Angelino Alfano più convinti dell’utilità, anzi della necessità dell’alleanza col Pd di Renzi. Ma lo ha fatto con un articolo di rivendicazione dei meriti di Craxi e, insieme, di riconoscimento dei suoi errori. Che sono poi quelli rimproveratigli in vita ai loro tempi dai dirigenti del Pci, a cominciare da un presunto appiattimento finale sulle posizioni degli alleati democristiani Arnaldo Forlani e Giulio Andreotti. Lo stesso Andreotti, tuttavia, che i comunisti negli anni della maggioranza di cosiddetta solidarietà nazionale, fra il 1976 e la fine del 1978, avevano appoggiato a Palazzo Chigi, preferendolo ad altri democristiani.
Quanto poi alla sacralità della figura di Aldo Moro, essa non impedì ai dirigenti del Pci, quando il presidente dello scudo crociato fu sequestrato dalle brigate rosse, di respingerne i tragici appelli dalla prigione delle Brigate rosse a trattarne in qualche modo il rilascio, come reclamavano insieme anche Pannella e Craxi procurandosi l’accusa d’irresponsabile cedimento al terrorismo. Eppure tre anni dopo il sequestro e la morte di Moro, nel 1981, la Dc avrebbe trattato addirittura con la mediazione della camorra il rilascio dell’assessore regionale campano Ciro Cirillo, anche lui sequestrato dalle Brigate rosse.
Per fortuna Renzi in quei tempi era soltanto un bambino, essendo nato nel 1975. E del Pci e della Dc non si poteva francamente immaginare la fine che avrebbero fatto. L’aveva forse intuita il povero Moro subendo gli effetti delle loro convergenze, un po’ meno parallele di quelle che egli aveva immaginato e teorizzato negli anni Sessanta per preparare l’alleanza di centrosinistra con i socialisti di Pietro Nenni. Alla cui scuola stava peraltro crescendo l’allora giovanissimo Craxi.
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Non so se Renzi, giustamente prodigo di elogi con Pannella, prima ancora di onorarne la morte, avendo fatto in tempo a fargli visita a casa col candidato a sindaco di Roma e vice presidente della Camera Roberto Giachetti, ha letto l’articolo di Fabrizio Rondolino. Che con quella parentesi lo ha invitato praticamente a riconoscersi anche nell’eredità riformista di Craxi, smettendo di parlarne come di una figura “non pedagogica”, per via delle sue disavventure giudiziarie, che gli fecero pagare con una durezza “senza pari”, come riconobbe dieci anni dopo la sua morte Giorgio Napolitano al Quirinale scrivendo una nobile lettera alla moglie Anna, il fenomeno largamente diffuso del finanziamento illegale dei partiti e, più in generale, della politica.
Un’altra cosa che Renzi dovrebbe smettere di fare è di contrapporne il presunto “opportunismo” di Craxi alla diversità comunista rivendicata da Berlinguer e fatta più di parole che di fatti, come le cronache giudiziarie si sarebbero poi incaricate impietosamente di dimostrare, senza lo scatto generazionale che gli avversari cercano sbrigativamente di addebitare all’attuale segretario del Pd, e presidente del Consiglio.