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Cosa fare in Libia?

La presentazione dell’Atlante Geopolitico del Mediterraneo 2016 – scritto a quattro mani da Francesco Anghelone e Andrea Ungari – tenutasi mercoledì quattro maggio presso la Biblioteca del Senato “Giovanni Spadolini”, e organizzata dal Ce.S.I. in collaborazione con l’Istituto di Studi Politici S. Pio V, ha costituito un momento di discussione su Libia, più genericamente Mediterraneo, Stato islamico e le strategie che andrebbero attuate.

LA CENTRALITÀ DEL MEDITERRANEO

La centralità del Mediterraneo e la necessità di una strategia unitaria elaborata dall’Europa sono stati i due temi proposti dal Presidente della Commissione Difesa del Senato Nicola Latorre. “Nonostante la marginalità che sembrava esser stata consegnata al Mediterraneo alla fine della Seconda Guerra Mondiale, l’area torna invece a riproporsi come centrale […] I confini del Mediterraneo si sono notevolmente ampliati, rispetto a quelli che abbiamo tradizionalmente conosciuto, per questo costituiscono quello che più volte viene sottolineato essere il cosiddetto Mediterraneo allargato, nel senso che oramai non è più possibile comprendere o tentare di immaginare soluzioni se non si guarda a questa realtà secondo una visione di insieme”.

Per Latorre, il ruolo del Mediterraneo è così preponderante che l’esito delle sfide che interessano l’area – terrorismo, flussi migratori, sicurezza energetica e conflitti religiosi – “condizionerà in maniera preponderante il futuro assetto del pianeta”. Secondo il senatore Pd, il Mediterraneo di oggi si presenta come uno scenario mutevole: “Fino a tre-quattro settimane fa, eravamo convinti di essere entrati in una fase di stabilizzazione dell’area”. Latorre si riferisce alla proclamazione del cessate in fuoco in Siria, alla possibilità che in Iraq la compagine dell’esecutivo fosse rinnovata ed epurata, alle vittorie riportate sul campo di battaglia contro Daesh e alla nascita di un Governo di unità nazionale in Libia. “Tutta una serie di ingredienti che lasciavano immaginare che ci si stesse incamminando verso un percorso di stabilizzazione”. Eppure, a poche settimane di distanza, “abbiamo una situazione catastrofica in Siria, in Iraq c’è un primo Ministro sostanzialmente delegittimato e le notizie che ci arrivano dalla Libia non sono incoraggianti”.

Latorre citando un estratto dell’Atlante ha poi detto: “La crisi del Mediterraneo allargato non è soltanto una crisi di sicurezza e stabilità”, ma anche di “legittimità politica, sviluppo socio-economico e di dignità umana”. Poiché è evidente che a una crisi così multiforme si debba rispondere, innanzitutto con la stabilizzazione dell’area, passo successivo consiste nel capire cosa si debba fare, concretamente, per riportare un ordine, quanto meno primordiale, nella regione. Secondo Latorre “molte delle difficoltà che noi registriamo, anche in ambito europeo, rispetto alla questione mediterranea, sono legate proprio alla mancanza di una strategia di fondo”. Quello su cui bisogna lavorare, perciò, è “un’iniziativa che vincoli l’Europa a un atteggiamento condiviso”.

A preoccupare parecchio, al momento, è soprattutto il dossier libico, poiché il suo esito significa molto per l’intera area. “Io ritengo che sarebbe un epilogo sciagurato consolidare in Libia una situazione di sgretolamento, sarebbe un esito sciagurato nella prospettiva di stabilizzazione del Mediterraneo, per l’Europa tutta e non soltanto per il nostro Paese. Da questo punto di vista l’atteggiamento dei Paesi europei rispetto al dossier libico è molto problematico”. Non a caso, secondo Latorre “l’unico Paese che al momento sta giocando la sua partita in maniera trasparente e lineare è proprio l’Italia”.

All’assenza di unità di intenti in Europa, e tenendo conto del buon lavoro svolto dall’Italia, Latorre ha detto: “Penso siano maturi i tempi perché l’Italia costituisca un vero e proprio punto di contatto tra Francia, Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti per gestire la crisi libica. Io credo che questo sia indispensabile perché non ci può essere alcuna speranza di stabilizzazione politica, senza un’iniziativa diplomatica comune”. L’importanza di una strategia diplomatica concreta diventa fondamentale laddove, secondo Latorre, questo può essere un valido strumento anche per impedire allo Stato islamico di proliferare in Libia.

IL PARADIGMA È  CAMBIATO

Anche Pasquale Salzano, direttore Affari Istituzionali Eni, ha proposto una formula per approdare alla stabilizzazione del Mediterraneo: “Il fatto che nei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo siano stati ritrovati dei giacimenti energetici costituisce un elemento di grande interesse” ed è per mezzo di queste scoperte economiche che Salzano propone di traghettare l’area verso la stabilizzazione. “Oggi il paradigma è cambiato. Pensiamo all’Egitto, ad esempio, che da paese importatore di energia sta diventando esportatore”. Salzano, cioè, sponsorizza una formula in cui l’Europa e il Mediterraneo cooperino per raggiungere una stabilizzazione biunivoca. L’Europa investirebbe nell’area, e in cambio otterrebbe approvvigionamento energetico, mentre il resto del Mediterraneo sfrutterebbe i capitali esteri per costruire la sua stabilità. “Il ruolo del privato, in partnership con il pubblico, agendo secondo la formula Mattei, può giocare una funzione positiva nell’area”, ha spiegato Salzano.

UNA NUOVA FORMA DI TERRORISMO

Andrea Manciulli, presidente della delegazione italiana presso l’Assemblea Permanente della Nato, ha parlato di Stato islamico, spiegandone i tratti caratteristici e la minaccia che rappresenta.

Manciulli ha affermato che la Nato ha deciso di dedicarsi con forza alla lotta contro l’Isis, cosa che non aveva fatto con al-Qaeda, perché “oggettivamente la tipologia di minaccia, da al-Qaeda a Daesh, è cambiata e con essa anche la definizione di terrorismo”. Se al-Qaeda costituiva “un’organizzazione clandestina molto elitaria – nel senso che per diventarne membro trascorrevano anni, e occorreva passare attraverso altre organizzazioni – oggi siamo di fronte a qualcosa di profondamente diverso”, ha spiegato Manciulli.

Nel confrontare l’organizzazione terroristica guidata da Osama bin Laden con quella di al-Baghdadi, Manciulli ha presentato quest’ultima un insieme di tre cose. “Nel matrimonio spurio fra jihadismo e insorgenza filo-batista irachena è nata un’idea che il jihadismo non ha mai avuto, cioè quella di fare una guerra convenzionale per costruire uno Stato”. Da qui la necessità, con cui si sta cimentando anche la Nato, di capire come combattere all’atto pratico lo Stato islamico. In secondo luogo, la guerra mediatica. Mentre i filmati di Bin Laden non avevano “alcuna volontà comunicativa di allargare il bacino di utenza del suo messaggio”, lo Stato islamico combatte la sua guerra ibrida e asimmetrica anche su un piano mediatico. Infine, il terrorismo. Un terrorismo che sta cambiando, perché accanto a quello organizzato sta emergendo la variante di un “terrorismo spontaneo, fatto con i mezzi che si trovano”. Manciulli ha portato ad esempio il cosiddetto venerdì nero, in cui una catena di attentati, non direttamente comandati, ha colpito la Tunisia, il Kuwait, la Siria e la Somalia.

Manciulli ha concluso il suo intervento ricordando che “il futuro della Nato e dell’Occidente non può trovare una collocazione se non si fa un’assunzione di responsabilità rispetto a quello che sta accadendo”. Per il Presidente una simile assunzione di responsabilità significa anche prendere coscienza dell’entità delle minacce che gravitano intorno ai nostri confini, perché “l’identità dell’Europa esiste anche in virtù della sua capacità di regolare lo spazio intorno a sé”.

RIDEFINIRE STORICAMENTE IL MEDITERRANEO

A concludere la presentazione dell’Atlante è stato Pier Ferdinando Casini, presidente della Commissione Esteri del Senato, il quale ha riflettuto sul futuro dell’Europa, alla luce delle problematiche che animano il Mediterraneo e interessano da vicino anche il Vecchio Continente.

Per Casini “oggi l’Europa è a un bivio: scivolare verso il degrado o rimettersi in marcia con una strategia”. Come Latorre, anche Casini ha rimarcato che in Europa una strategia purtroppo non c’è, “nemmeno nelle politiche di vicinato su temi comuni quali la Libia”. Portando a esempio l’Egitto “che indubbiamente sta giocando in Libia la carta della tripartizione, che per noi sarebbe drammatica”, e della Francia, che avalla l’Egitto e tutela unilateralmente i propri interessi, Casini ha commentato che “tutto questo significa non solo che l’Europa non ha una visione unitaria del suo futuro, ma che anche la politica di vicinato è immersa in grandi contraddizioni”. Casini ha concordato con Latorre anche nel riconoscere l’organicità della strategia sposata dall’Italia in politica estera, nonostante il susseguirsi di governi antagonisti, motivo per cui il nostro Paese “può svolgere una funzione centrale nel ridefinire storicamente il Mediterraneo”, un compito che, appunto, richiede coerenza.

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