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Ecco come e perché la Libia è meno divisa sul petrolio

Il segretario di Stato americano John Kerry ha ribadito lunedì da Vienna, a margine del summit internazionale sulla crisi libica, che soltanto un governo unitario può garantire che la produzione petrolifera del paese possa aumentare e procedere correttamente. L’impegno della Comunità internazionale a fianco del proto-esecutivo di Fayez Serraj ha anche questo indirizzo. E il riferimento corre a poche settimane fa, quando dal porto di Marsa el Hariga, in Cirenaica (regione in cui si trova la gran parte dei campi-pozzi), il governo non riconosciuto dell’est libico aveva cercato di vendere il petrolio in modo indipendente. Il carico era stato poi tracciato a bordo della petroliera Distya Ameya, costretta a invertire la rotta a poche miglia da Malta, dove ad attendere il greggio c’era una società emiratina che aveva già chiuso l’affare. Le parole di Kerry sono indirizzata anche agli attori esterni della crisi, Egitto, Emirati Arabi, Russia, Francia, Arabia Saudita, che appoggiano Tobruk.

libya_oilLe parole del capo della diplomazia di Washington hanno un peso, così come ha un peso anche maggiore la legittimazione globale attorno a Serraj, e dunque chi dalla Cirenaica progettava interessi personali e la creazione di una compagnia indipendente, per il momento deve aspettare. Nei prossimi giorni riprenderanno i carichi a Marsa el Hariga scrive la Reuters, fermi dal 28 aprile (con costi stimati di 10 milioni di dollari al giorno) per rappresaglia al blocco della Distya Ameya, e saranno diretti dalla Noc, la società petrolifera nazionale che risponde a Serraj e che da tempo è una delle poche realtà istituzionali che sta tenendo in piedi il paese, fornendo i soldi per pagare gli stipendi pubblici. Questo significa che l’esportazione, scesa a 200 mila barili giornalieri nelle ultime settimane, vedrà un incremento di altri 150 mila, secondo le stime del Wall Street Journal. Un piccolo tassello, comunque distante dalle quote oltre il milione e mezzo di appena cinque anni fa: attualmente la Libia è il più piccolo esportatore membro dell’Opec. Gareth Lewis-Davies, stratega energetico per il grande gruppo bancario Bnp-Paribas non vede spiragli per la crescita del mercato del paese, considerando anche il problema che le infrastrutture sono state in parte danneggiate dalla guerra e dagli attacchi dello Stato islamico. Opinione peggiore per Helima Croft, chief commodities strategist di RBC Capital Markets, che ha parlato della Libia come della “Somalia dei mercati petroliferi”. Tuttavia secondo un report dell’Agenzia internazionale per l’energia la Libia avrebbe anche la potenzialità di raggiungere velocemente i 700 mila barili giornalieri, se solo gli importanti porti di Ras Lanuf e Es Sider tornassero in operatività (dove però grava la presenza delle ondate baghdadiste, che hanno già colpito nell’area). La previsione dell’Aie stride con un’analisi pubblicata oggi da Goldman Sachs, la banca, che finora aveva previsto scenari intorno ai 20 dollari al barile, prevede per il secondo semestre del 2016 valori che possono stabilizzarsi sui 50 dollari, frutto delle interruzioni di forniture che vanno ad intaccare le riserve; tra queste anche quella di Marsa el Hariga. Dunque se la Libia tornasse ad esportare ampie quantità di petrolio, il mercato globale potrebbe risentirne, con un ribasso dei prezzi: anche per questo paesi che hanno forti vincoli col valore del greggio, come la Russia, gli Emirati Arabi e l’Arabia Saudita si mostrano poco collaborativi alla rappacificazione del paese, che potrebbe portare ad un miglioramento dell’export.

 


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