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Maria Elena Boschi, il referendum e la baruffa troppo partigiana sull’Anpi

In Italia esiste la libertà di associazione. Ma quando si sente parlare di ANPI viene naturale pensare che i suoi aderenti siano dei gagliardi “grandi vecchi’’, dal momento che il tempo non fa sconti a nessuno. E per aver avuto modo di partecipare, sia pure in età giovanissima, alla Lotta di Liberazione oggi occorrerebbe avere ben più di 80 anni suonati. Il presidente Carlo Smuraglia (che partigiano lo è stato veramente, avendo combattuto da volontario nel Corpo Italiano di Liberazione, Divisione Cremona, 8ª armata) è nato infatti nel 1923. Pare, tuttavia, che ci si possa iscrivere all’ANPI anche senza essere stato partigiano, in nome del motto “Ora e sempre Resistenza’’. Allora, però, quando Maria Elena Boschi parla di “partigiani veri’’ (ricordando, ad esempio, Germano Nicolini, il comandante Diavolo) non bisogna offendersi, se partigiani non lo si è stati.

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Certamente Marco Pannella merito un posto di rilievo nella storia della Repubblica. Ma il leader radicale sarebbe il primo a dolersi del processo di beatificazione a cui è sottoposto sul cammino dell’eterno riposo. Soprattutto trovo esagerato attribuire al solo Pannella (e alla pattuglia rissosa dei radicali) il merito delle conquiste nel campo dei diritti civili. Marco Pannella svolse un ruolo decisivo nel porre ed imporre i grandi temi che, tramite la loro trasformazione in leggi dello Stato, contribuirono a modernizzare la società italiana, soprattutto per quanto riguarda la dignità dei rapporti interpersonali (il terreno sul quale si sono fatti passi più avanti negli ultimi decenni). Ma a Pannella si potrebbe adattare un aneddoto su Stalin, del quale si racconta che ai leader alleati che suggerivano di tener conto anche delle posizioni del Vaticano, rispondesse: “Il Papa? Quante divisioni ha?’’. Appunto, Pannella svolse sicuramente ben più di una funzione di stimolo, ma le “divisioni’’ (ovvero l’impegno parlamentare e i voti) gliele misero i grandi partiti della Prima Repubblica, i quali, diversamente da Pannella, dovevano fare i conti con il consenso, le alleanze e la governabilità del Paese. Nella agiografia dominante, si dimenticano due aspetti “scomodi’’ – sia pure per motivi differenti – delle battaglie referendarie dei radicali. Il primo ci fa risalire al referendum sull’aborto del 1981. Marco Pannella era in campo sul fronte abrogazionista della legge 190, ancorché su di una posizione che ne consentisse una maggiore apertura. Ciononostante il fronte del No – alla fine vittorioso – risultò indebolito. Il secondo ci porta nel 2000 al referendum abrogativo (non scattò il quorum) dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (l’azione più “politicamente scorretta’’ – e per questo più coraggiosa – che si potesse compiere in tempi come quelli). Quanto alla battaglia sul divorzio, per vincere il referendum del 1974 fu decisiva la posizione dei “cattolici democratici’’ che, affermando la libertà di coscienza, misero in difficoltà il fronte clericale.

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