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Milano, tutte le differenze tra Stefano Parisi e Beppe Sala

A meno di  due settimane dal primo turno delle elezioni amministrative si definiscono meglio i profili che caratterizzano i candidati e gli schieramenti. Al netto delle questioni procedurali (liste cancellate e riammesse, presunte ineleggibilità, date elettorali) e dell’attenzione riservata al controllo  incrociato di  candidature imbarazzanti  nelle varie liste, secondo le controverse regole del “politically correct”, la campagna elettorale prosegue senza grandi passioni, con qualche scintilla ma senza inutili sceneggiate.

Il rispetto reciproco tra i candidati è un segno di grande civiltà e , comunque vadano le cose, ne trarranno beneficio le future istituzioni comunali. I confronti diretti, pubblici e sui media ,tra i candidati si moltiplicano anche se della “par condicio” beneficiano, oltre a Sala e Parisi, solo Corrado dei 5 stelle e in parte Basilio Rizzo della sinistra radicale. Gli altri candidati, a partire dai socialisti “municipali” e dai radicali (che avevano tentato di presentare una lista comune senza riuscirci) il più delle volte sono tagliati fuori. Le forze minori faranno fatica ad ottenere una presenza in consiglio comunale ma non bisogna sottovalutare che anche il loro elettorato, di fronte all’incognita dell’astensionismo, potrebbe rivelarsi decisivo.

Se è scontato che la partita si deciderà al ballottaggio del 19 giugno tra Beppe Sala e Stefano Parisi, è fondamentale capire come saranno percepiti al primo turno i contenuti progettuali e, più ancora, le personalità politiche dei candidati. Sul terreno programmatico le loro proposte sono spesso convergenti ma è banale considerare “uguali” i due candidati, così come lo sarebbe sostenere che la differenza tra i due la farà la “squadra”. Sala, e non potrebbe essere diversamente, aggiorna ma non trasforma il progetto politico “arancione” della Giunta Pisapia.

Parisi ha un approccio culturale “liberal” e, per rendere più accogliente Milano, punta a:
– tagliare le tasse (addizionale irpef e canone di occupazione del suolo pubblico) riducendo la spesa corrente;
– alienare beni immobili e partecipazioni societarie (come A2A e SeA) per finanziare investimenti;
– utilizzare diffusamente le nuove tecnologie, sia per garantire più elevati standard di sicurezza (come la messa in rete di tutte le telecamere) e di qualità ambientale (come la riqualificazione energetica di tutti gli edifici pubblici e privati), sia per la totale digitalizzazione della pubblica amministrazione comunale.
– moltiplicare la capacità produttiva della “città solidale” razionalizzando e integrando tra di loro l’iniziativa pubblica e il privato sociale, utilizzando  criteri di finanziamento comuni basati sulla verifica di costi, efficienza e qualità delle prestazioni fornite. A questo proposito l’ex direttore generale di Confindustria unisce una personalità politica che gli consente di non essere ostaggio di alleati prepotenti e un atteggiamento di rispetto nei confronti delle istituzioni per cui le leggi si applicano (i sindaci devono celebrare le unioni civili e le case illegalmente occupate vanno sgomberate) mentre i problemi più delicati e complessi, come quelli dell’emergenza per i rifugiati e la costruzione delle moschee, richiedono necessariamente un tavolo di confronto allargato a tutti i soggetti interessati che coinvolga anche il Governo centrale.

Sala da parte sua può:
– far leva sul sostegno di una forza organizzata come quella del PD, il che non è poco;
– accreditarsi ai potenziali elettori come elemento di continuità della giunta Pisapia;
– sfruttare il tradizionale appello a non consegnare la città alla “destra ostaggio di Salvini“.

Il “laboratorio politico” di Stefano Parisi conta sulla presenza a Milano di una maggioranza radicata delle forze moderate, sul consenso dell’area liberaldemocratica e di una parte del tradizionale socialismo autonomista. E’ un progetto culturale che va al di là di un centrodestra oggi privo di una vera identità politica e attraversato da tentazioni populiste. E’ inevitabile per Parisi mediare con una Lega che si è rafforzata, decisiva sotto il profilo elettorale ma che trova difficoltà ad uscire da un ambito di pura protesta. E’ la posizione speculare in cui si trova Sala, la cui campagna elettorale viene impietosamente definita in gergo milanese “loffia” (fiacca) dalla segretaria cittadina di “Socialismo e Libertà”, possibile candidata alla carica di vicesindaco.

Beppe Sala propone un tracciato tradizionale di “buon governo” di un centrosinistra che comprende il PD e gli alleati massimalisti (i cui voti sono necessari e con i quali è inevitabile un compromesso) e pone in primo piano una serie di interventi per lo sviluppo della città accompagnati da un forte richiamo solidaristico a difesa delle fasce deboli della popolazione.

Finora la presenza dei leaders politici nazionali non è stata ingombrante e l’appuntamento del referendum costituzionale non è entrato nel dibattito. La sfida di Milano rimane aperta. Il voto del 5 giugno è certo importante ma non (salvo imprevisti di rilievo) risolutivo.

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