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Perché la campagna della minoranza Pd contro Maria Elena Boschi è grottesca

La polemica della minoranza Pd contro Maria Elena Boschi è semplicemente grottesca. Solo un decimo degli oltre centotrentamila iscritti all’Anpi sono (per intuitive ragioni anagrafiche) “partigiani storici”, ossia partigiani che hanno partecipato con le armi o in altro modo alla stagione della Resistenza. Gli altri (tra cui molti giovani) appartengono alla variegata galassia dell’antifascismo. Dov’è lo scandalo? La ministra con tutta evidenza si è riferita ai primi senza alcun intento discriminatorio, ma molti non hanno sentito con le proprie orecchie le parole da lei pronunciate nella trasmissione televisiva di Lucia Annunziata, o hanno scelto di fare orecchie da mercante, Ormai la campagna denigratoria contro la Boschi sta superando i limiti della decenza, caratterizzata com’è da insulti da bordello e da allusioni oscene alla sua avvenenza fisica. Tra le loro pieghe talvolta si può udire il sordo tintinnio del rancore e dell’invidia. La verità è che, quando una donna sa unire alla bellezza anche il talento politico, nell’Italia del terzo millennio c’è ancora chi “rosica” (a dritta e a manca, nel mondo maschile come in quello femminile).

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I lettori di questo bloc notes forse ricordano che ho più volte criticato la riforma costituzionale perché non ha abolito il Senato e perché non ha introdotto l’istituto della sfiducia costruttiva (se si vota contro il governo in carica, occorre contestualmente presentare un governo alternativo). Ma non mi attacco a questi limiti (e ad altri discutibili aspetti formali) per gettare il bambino con l’acqua sporca. Sergio Fabbrini ha usato una metafora efficace per descrivere i puristi della Carta del 1948, i custodi della virtù repubblicana, quelli che continuano a versare fiumi d’inchiostro sui difetti della legge approvata dopo ben due anni di accesi dibattiti: sono come quei passeggeri di un treno a cui non piacciono le stoffe dei sedili, e che per questo preferiscono farlo deragliare (Il Sole 24 Ore di ieri). Se la riforma verrà approvata dagli elettori, la fiducia al governo verrà data soltanto dalla Camera dei deputati, come avviene in tutte le grandi democrazie parlamentari. Il processo decisionale sarà semplificato e più efficiente. Questo è il punto. I referendum costituzionali “non si combattono con le tecnicalità. Si vincono o si perdono sulla visione del Paese che si vuole promuovere o difendere”, sottolinea inoltre il docente della Luiss nell’articolo citato. Del resto, nello stesso referendum del giugno 1946 non era in gioco unicamente la scelta tra monarchia e repubblica, ma quella tra passato e futuro della nazione. Non è forse anche un po’ così per il referendum del prossimo ottobre?


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