La notizia non è freschissima ma, essendo passata quasi inosservata e non avendo ricevuto smentite o precisazioni di sorta, merita qualche riflessione. Essa aiuta a esplorare il mondo delle 5 Stelle alle prese col caso del sindaco di Parma Federico Pizzarotti, sospeso e forse anche sul punto di essere espulso. Magari fra gli applausi di quel Robespierre in versione trasteverina che sembra, con le sue taglienti condanne ovunque gli capiti di parlare, il deputato pentastellato Alessandro Di Battista, chiamato anche Dibba dai suoi ammiratori.
Il Comune di Mira, undicesimo nel Veneto per numero di abitanti, poco meno di quarantamila, ha un sindaco grillino – Alvise Maniero – sotto processo da due anni per lesioni colpose e inosservanza delle norme anti-infortunistiche, essendo un ragazzo caduto in una piscina pubblica chiusa per ristrutturazione ma non adeguatamente protetta. E affetto per quella caduta da tetraplegia, cioè da paralisi di tutti e quattro gli arti.
La vicenda mi sembra, se permettete, un po’ più grave delle due nomine disposte da Pizzarotti e dal consiglio di amministrazione del Teatro Regio di Parma, costate al sindaco, su denuncia di un senatore del Pd, un avviso di garanzia per abuso d’ufficio. Un avviso equiparato dall’ex segretario del partito del senatore denunciante, Pier Luigi Bersani, alla banalità di una multa per un camionista che non ha pesato bene il carico del suo trasporto. Un avviso, infine, che per non essere stato tempestivamente trasmesso allo staff di Grillo, che gliene aveva fatto richiesta appena informato dai giornali, ha procurato a Pizzarotti, fra la condivisione appassionata di Di Battista, anche la misura disciplinare nel movimento. Eppure il sindaco ha spiegato di non avere risposto alle intimazioni del generico staff grillino per proteggere la privacy di altri indagati per lo stesso fatto.
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E’ la solita storia – mi direte – dei due pesi e delle due misure nel firmamento delle 5 Stelle. Dove si è severissimi con chi ha la cattiva abitudine di dissentire, com’è appunto capitato più volte a Pizzarotti, e indulgenti, o comunque comprensivi, con chi quest’abitudine non ce l’ha. Come nel caso del sindaco, sempre pentastellato, di Livorno Filippo Nogarin, rimasto tranquillamente al suo posto, sia al Comune sia nel movimento, anche dopo essere stato sottoposto a indagini dalla Procura locale per concorso in bancarotta fraudolenta nella gestione dei rifiuti, avendo disposto l’assunzione di una trentina di precari anche in pendenza delle procedure fallimentari dell’azienda municipalizzata del settore. Precari – si è, in verità, difeso Nogarin – che avrebbero potuto aprire e vincere una vertenza forse più costosa della loro assunzione.
Temo però che quello del sindaco veneto, rispetto al collega di Parma, non sia soltanto un caso di doppiopesismo politico. E’ probabilmente scattato in Grillo e nel suo staff, di fronte all’infortunio nel Comune di Mira, un senso magari inconscio di solidarietà e comprensione per la natura anch’essa colposa di un reato ancora più grave –omicidio appunto colposo- che costò al comico genovese nel 1988 una condanna definitiva a un anno e due mesi di reclusione, e altrettanti di sospensione della patente, per un maledetto incidente occorsogli il 7 dicembre del 1981. Quando alla guida di un gippone, su una strada di montagna a Limone, slittò su una lastra di ghiaccio sbattendo contro una roccia con la coda dell’auto. Di cui perse tragicamente il controllo, per cui il mezzo, ch’egli fece in tempo ad abbandonare buttandosi fuori, precipitò in un burrone. Morirono, in quella trappola fatale che era diventata l’auto, due coniugi e il loro figliolo, di 9 anni.
Nel processo di primo grado Grillo fu assolto, ma la sentenza venne capovolta in appello. E la condanna fu confermata in Cassazione.
Su quel tragico incidente ancora si dividono grillini e antigrillini nelle navigazioni di rete. Di recente il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha dato proprio per questo al suo vivacissimo oppositore di piazza, visto che Grillo non è in Parlamento, del “pregiudicato”, al pari di Silvio Berlusconi, condannato in via definitiva nell’estate del 2013 per frode fiscale e decaduto da senatore qualche mese dopo, con una procedura a tappe forzate.
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Forse consapevole del carattere troppo umorale e vago dei criteri e delle modalità sinora adottate, Grillo ha appena annunciato o promesso il ricorso ad un algoritmo per sospensioni ed espulsioni automatiche dal suo movimento, adottate quindi più da un robot che da uno staff. L’esperienza e competenza elettronica di Davide Casaleggio, forse superiori persino a quelle del padre Gianroberto, potrebbe aiutare il comico a realizzare il nuovo sistema. Ma da un eccesso di discrezionalità si passerà a quello opposto dell’astrattezza, che già fa dei grillini, francamente, un’entità politica quasi marziana.
Il problema delle 5 Stelle è piuttosto quello di mettere i piedi per terra, di approdare al realismo. Quello che in qualche modo, sul versante di destra, si è proposto Vittorio Feltri riassumendo la direzione, per quanto non responsabile, del quotidiano Libero, da lui fondato 16 anni fa. Egli ha promesso ai lettori sì “sbalzi di umore e molti malumori, nessun inchino al potere politico e qualche impuntatura”, e la pratica di dire “pane al pane e vino al vino, sui cui però – ha aggiunto – saremo moderati”, con “un linguaggio più ironico che acido”. E “niente bava alla bocca per polemizzare ad ogni costo”, come fanno appunto i grillini, anche se Feltri voleva riferirsi al predecessore Maurizio Belpietro, peraltro cresciuto nella sua scuderia professionale.
Dove certamente Grillo non potrà seguire Feltri è la strada da lui così indicata in una intervista al Foglio, anch’essa di insediamento alla guida di Libero: “Meglio renziano che figlio di puttana”, visto che ormai “Berlusconi è sincero solo quando mente”.