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Popolare di Vicenza, chi vince e chi perde senza Piazza Affari

Alessandro Penati

Era nell’aria da un po’ ma ora è ufficiale: la Banca Popolare di Vicenza (Bpvi) non riuscirà ad approdare a Piazza Affari. Sarebbe dovuta essere questa la destinazione dell’aumento da 1,5 miliardi da poco concluso, ma la stessa Borsa Italiana ha detto “no”. Il motivo è che il flottante, vale a dire le azioni diffuse tra il pubblico,
sarebbe stato troppo basso.

COSA E’ SUCCESSO

Per capire meglio la faccenda, è necessario fare un passo indietro: l’offerta di azioni di Bpvi nell’ambito dell’aumento di capitale da 1,5 miliardi di euro finalizzato alla quotazione in Borsa si è chiusa nei giorni scorsi con la sottoscrizione di appena il 7,66% dei nuovi titoli, per un controvalore di circa 115 milioni. Il resto delle azioni era stato prenotato dal fondo di sistema Atlante, gestito dalla Quaestio sgr presieduta da Alessandro Penati. Questo significa che Borsa Italiana avrebbe dovuto dare il via libera a una quotazione con un flottante nettamente inferiore al 25% minimo richiesto per legge. Ma c’è di più: “Nel flottante – scrive su Mf Luca Gualtieri – non sono stati conteggiati né il 91,72% teoricamente in mano al fondo Atlante, né il 4,97% prenotato a sorpresa da Mediobanca nei giorni scorsi. Il livello di capitale diffuso è dunque sceso al 3,3%: lo 0,36% del pubblico indistinto, il 2,86% degli ex azionisti e lo 0,10% prenotato da nove investitori istituzionali”.

CHE FA ATLANTE 

E proprio per la scarsità del flottante Borsa Italiana ha detto “no” alla quotazione in Borsa di Bpvi. Ecco così, si legge sempre su Mf, che “tali sottoscrizioni sono venute meno al momento dell’annuncio di Borsa Italiana e il fondo Atlante sarà l’investitore unico della ricapitalizzazione. Più nel dettaglio, in base agli accordi annunciati nelle scorse settimane, Quaestio Capital Management (la sgr che gestisce Atlante) sottoscriverà 15 milioni di azioni ordinarie di nuove emissione di Bpvi al prezzo unitario di 0,1 euro per un controvalore complessivo di 1,5 miliardi. A bocce ferme il fondo avrà il 99,33% del capitale, relegando allo 0,67% i vecchi azionisti”. In altri termini, con il “niet” di Borsa allo sbarco a Piazza Affari Atlante si trova costretto a sobbarcarsi l’intero aumento di capitale, mettendo sul piatto 120 milioni in più.

SCONFITTA PREVISTA

Ciò vuol dire che il fondo di sistema dovrà impiegare ben 1,5 miliardi delle proprie risorse complessive, pari a 4,25 miliardi, nella sola Popolare di Vicenza. Una sconfitta per Atlante? Forse, visto che il fondo, col “no” di Borsa, si trova a dovere sottoscrivere 120 milioni circa di azioni Bpvi in più. Ma si tratta di un esito che il presidente di Quaestio Penati aveva ampiamente previsto. Per ristrutturare Bpvi, aveva detto in occasione della presentazione del fondo, “sarebbe quasi forse meglio che Bpvi non fosse quotata: posso prenderla, posso venderla, posso fonderla, posso spaccarla, posso fare una nuova Ipo magari a un prezzo più alto, posso fare una scissione degli npl (crediti deteriorati, ndr) magari con qualche altra banca”. Insomma, Penati, noto per le sue posizioni “pro-mercato” ai tempi in cui era editorialista per Repubblica, ora sembra quasi gioire perché Bpvi non sbarchi in Borsa e può disporne così come meglio crede.

DOPPIA FREGATURA PER I PICCOLI SOCI

Ma senza dubbio chi ci rimette di più con l’operazione sono i vecchi piccoli soci di Bpvi, che di fatto vengono spazzati via nel capitale dall’ingresso al 99,33% del fondo Atlante. Oltre al danno di avere praticamente quasi perso tutto (e pensare che molti di loro solo nel 2014 avevano speso 62,5 euro per azione per sottoscrivere l’aumento della banca oggi effettuato da Atlante a 0,1 a titolo), come scrive Morya Longo sul Sole 24 Ore, “assaggiano ora anche la beffa della mancata quotazione in Borsa”. Scrive il giornalista: “Fuori da Piazza Affari non c’è per loro neppure la speranza che prima o poi qualche concorrente interessato lanci un’Opa. Fuori da Piazza Affari, insomma, i “vecchi” soci potrebbero avere meno patemi d’animo ma anche meno tutele. Se la mancata quotazione può far piacere al fondo Atlante, e forse agli altri investitori istituzionali che erano pronti a comprare azioni, i piccoli soci rischiano di essere i potenziali sconfitti”.

CHI ESULTA PIU’ DI TUTTI

Chi invece esulta più di tutti è Unicredit, la banca che inizialmente aveva garantito l’operazione di aumento di capitale dell’istituto vicentino guidato da Francesco Iorio ma che poi si è tirata indietro facendo così scattare l’operazione di sistema che ha condotta alla nascita di Atlante. Ora che la “patata bollente” è finita al fondo di Penati il gruppo capitanato da Federico Ghizzoni ha schivato un bel problema. E c’è già chi adesso guarda a Intesa Sanpaolo, che si è impegnata a garantire il prossimo aumento di capitale di un’altra banca del nord est non quotata: Veneto Banca.

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