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Ucciso in Siria un alto comandante Hezbollah, la Russia si svincola dall’Iran

Mustafa Badreddine, capo delle operazioni speciali del gruppo libanese Hezbollah e più alto comandante in carica per la missione in Siria, è stato ucciso nella notte nei pressi dell’aeroporto di Damasco.

IL RAID

Al Manar, rete satellitare libanese affiliata al partito/milizia che fin dai prima anni della guerra civile combatte anche al fianco del regime siriano, ha confermato la notizia. La morte sarebbe avvenuta durante una grossa esplosione nei pressi dell’aeroporto della capitale siriana. Informazioni impossibili da confermare parlano di un attacco aereo israeliano, prassi già seguita in Siria, dove Gerusalemme ha mantenuto un canale aperto per seguire la propria agenda, soprattutto contro il gruppo Hezbollah, ritenuto una minaccia per la sicurezza nazionale. L’ultima guerra con Israele si è chiusa nel 2006, ma i servizi segreti dello stato ebraico sostengono che il fronte potrebbe essere riaperto a breve, oltretutto con gli avversari rafforzati dalle forniture di armi passate dagli iraniani sfruttando il caotico teatro della guerra in Siria. Per questo tracciano continuamente movimenti e spostamenti sospetti, per colpire in anticipo i passaggi di armamenti.

IL LEADER

Badreddine aveva cinquantacinque anni, dallo scorso luglio era stato messo sotto sanzioni dagli Stati Uniti perché ritenuto responsabile del ruolo, settario, degli Hezbollah in Siria. Il suo nome è collegato alle operazioni speciali, all’estero, del gruppo fin dagli anni Ottanta: attentati in Kuwait nel 1993, piani terroristici anti occidentali, iscritto tra gli indagati per l’omicidio dell’ex premier libanese Rafiq Hariri, assassinato nel 2005 a Beirut. Badreddine era intimo, fidato, cognato di Imad Mughnieh, storico capo Hezbollah eliminato anch’egli dagli israeliani, sempre a Damasco.

UN RUOLO AMBIGUO

Il ruolo degli Hezbollah nella guerra siriana è ambiguo, perché se da una parte rappresentano la principale forza combattente lealista (insieme a qualche altre milizia sciita), dall’altra perseguono un’agenda personale: i territori che difendono sono quelli di stretto interesse, al confine con il Libano e sul Golan, da dove, secondo le informazioni più volte diffuse dai servizi israeliani, starebbero preparando anche azioni contro Israele.

LA LINEA POLITICA RUSSA

Quando Gerusalemme compie questo genere di azioni repressive, che non ha mai confermato finora e dunque si presume che nemmeno questa volta lo farà, si materializzano i termini di un accordo operativo siglato con Mosca. Fin dal settembre del 2015, quando i russi entrarono pesantemente nel conflitto siriano, gli ufficiali e i diplomatici dei due paesi avevano lavorato per mettere in chiaro alcune prassi operative, che prevedevano sostanzialmente la non interferenza di Mosca su azioni israeliane contro gli Hezbollah (o loro appoggio iraniani, palestinesi o siriani). Mosca sembra aver accettato l’accordo, con buona pace dell’Iran, protettore dei combattenti libanesi e nemico esistenziale israeliano. Da Teheran si sollevano malumori per la linea russa: i diplomatici russi stanno giocando le sue carte al tavolo negoziale forzando la sponda di Washington, cosa ritenuta un tradimento dagli ayatollah, i quali seguono una linea troppo ideologizzata per i russi e sono considerati un specie di peso diplomatico (sebbene rimangano il principale alleato da sfruttare per combattere al fianco del regime siriano, soprattutto per l’ascendente sulle milizie sciite). L’apertura dello spazio aereo siriano, battuto dai caccia russi costantemente, agli aerei israeliani, è una delle dimostrazione del fatto che la Russia non vuole intestarsi campagne ideologiche e spalleggiare rischiose dinamiche laterali al conflitto.


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