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Siria, tutti i dettagli sulla furbetta proposta della Russia agli Stati Uniti

Venerdì la Russia ha proposto agli Stati Uniti di colpire in maniere congiunta i gruppi siriani che violano la tregua, ma gli americani hanno risposto freddamente.

LA TREGUA (O QUEL CHE NE RESTA)

Il cessate il fuoco si regge più che altro in modo formale, come spesso succede in Siria quello deciso ai tavoli negoziali è una rappresentazione disconnessa dalla realtà: in diverse aree le forze del regime e quelle ribelli si stanno scontrando in modo duro, i bombardamenti governativi imperversano e le vittime civili hanno avuto un’impennata. Tutto ciò nonostante all’ultimo round dei talks, tenutosi a Vienna martedì, si è confermato che mantenere la tregua decisa il 27 febbraio è un obiettivo primario per i successivi, non definiti, passaggi verso la risoluzione politica della crisi.

LA PROPOSTA

Secondo la proposta del ministro della Difesa russo Sergei Shoigu le operazioni congiunte dovrebbero iniziare il 25 maggio e dovrebbero essere concentrate più che altro contro le violazioni da parte della Jabhat al Nusra, al Qaeda in Siria, e contro i convogli che trasportano armi ai ribelli attraverso il confine turco-siriano. Ossia, per tradurre quello che passa per un buon intento tra l’opinione pubblica globale, Mosca vuole colpire al Nusra, il gruppo che fa da catalizzatore per le forze ribelli al nord della Siria, dove la brigata qaedista è la principale (e più forte) forza combattente in diverse aree, come per esempio quella di Aleppo o Idlib. Al Nusra, giocando su queste relazioni di forza, ha fatto in modo che anche milizie ribelli nazionaliste e meno ideologizzate ne sfruttassero l’alleanza per ottenere migliori risultati militari. Mosca sa che può far leva sulla designazione terroristica di al Nusra per combattere anche gli altri gruppi alleati, molti dei quali però sono gli stessi che godono della copertura di Turchia e Arabia Saudita, e dunque indirettamente degli Stati Uniti. E qui viene la seconda parte della proposta di Shoigu, ossia tagliare i rifornimenti: questa è stata una politica avviata da Mosca fin dai primi tempi dell’intervento, quando la Russia ha piazzato l’esercito e la copertura aerea al nord siriano, non solo per puntellare le aree più care al regime, ma anche per tagliare in anticipo le rotte di sostegno che arrivano dal confine turco. Circostanza da sommare alle relazione da mesi ai ferri corti tra turchi e russi, che stanno usando il campo di battaglia siriano per risolvere la crisi seguita all’abbattimento del Su24 russo da parte di un F16 di Ankara.

L’EXPLOIT RUSSO AI TAVOLI

Mosca vive un momento di particolare exploit al tavolo dei negoziati, perché, almeno formalmente, dal 14 marzo è molto meno coinvolta nel conflitto (e per questo cerca di distanziarsi dall’alleato Iran, troppo ideologizzato), dato che per ordine diretto del presidente Vladimir Putin le forze schierate sono state rimodulate al ribasso; nella realtà i russi mantengono in Siria una buona forza di fuoco, le navi del cosiddetto “Syrian Express” che portano armamenti in Siria continuano ad essere tracciate al passaggio sul Bosforo, e una nuova base mobile è stata creata a Palmyra per difendere l’unico territorio realmente sottratto dai russi allo Stato islamico dagli attacchi di ritorno dei baghdadisti. La forza negoziale di Mosca trova dall’altra parte una sponda morbida, rappresentata da un’Amministrazione americana a fine mandato, impegnata nella competizione elettorale, e concentrata più che mai a evitare scivoloni; potremmo dire che questo è il momento in cui il mantra “don’t do stupid shit” di Barack Obama si cristallizza, granitico.

COORDINARSI CON DAMASCO

Il ministro della Difesa russo propone che questi attacchi aerei congiunti Russia-Usa, che consentirebbero “una transizione verso un processo pacifico”, siano coordinati con il governo siriano, e dunque propone a Washington non solo di lasciare Bashar el Assad al suo posto in un’ipotetica fase di transizione del potere (come esce dalle ultime posizioni negoziali condivise tra le due grandi potenze), ma addirittura di includerlo in operazioni condivise. Dunque la Casa Bianca dovrebbe dare l’ok a bombardamenti coordinati da Damasco insieme a Mosca, asfaltando i “must go!” che per mesi hanno seguito il nome di Assad nella dialettica americana con cui si chiedevano le dimissioni del presidente, passare sopra alle volontà dei principali alleati regionali (che a quei “must go!” continuano a credere) e appoggiare in definitiva il regime siriano per portarlo alla vittoria definitiva contro i ribelli.

LA REAZIONE DI WASHINGTON

La reazione di Washington è stata quasi ovvia, davanti alla solita tecnica diplomatica con cui i russi spingono le situazioni all’estremo: “Non c’è nessun accordo per operazioni congiunte”, ha dichiarato il segretario di Stato John Kerry, ma anzi “ci aspettiamo che la Russia lavori per porre fine alle violazioni (governative), che comprendono gli attacchi che hanno colpito i civili e le strutture civili”. In privato funzionari americani hanno riferito alla Reuters che l’idea lanciata da Shoigu era un “non-starter“, cioè qualcosa che non ha possibilità di succedere già in partenza.

AL QAEDA COMUNQUE NEL MIRINO

Gli Stati Uniti continuano comunque a tenere alta l’attenzione su al Nusra, perché considerano al Qaeda ancora una minaccia cruciale, nonostante ormai lo Stato islamico abbia sottratto all’organizzazione creata da Osama Bin Laden la scena sul teatro del jihad globale; ad aprile uno dei principali leader del gruppo qaedista in Siria, Abu Firas al Suri, è stato eliminato da una bombardamento americano. Da giorni circolano informazioni in merito alla volontà qaedista di creare un emirato in Siria per bilanciare il potere del Califfato, questione che trasformerebbe il territorio in un campo di battagli ideologico intra-jihad. Molti miliziani siriani sarebbero contrari a questa trasformazione, perché più focalizzati nella ribellione al regime, e perché sanno che quello sarebbe un passaggio con cui il gruppo perderebbe l’appoggio delle altre milizie non ideologizzate.

 (Foto: Archivio Cremlino, il presidente russo Vladimir Putin a colloquio con il ministro della Difesa Sergei Shoigu

 

 



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