Il presidente nigeriano Muhammadu Buhari accoglierà oggi, sabato 14 maggio, alti rappresentati da Benin, Camerun, Ciad e Niger per un raduno che avrà luogo ad Abuja, a cui parteciperanno anche il presidente francese François Hollande, il ministro degli Esteri britannico Philip Hammond e il vice segretario di Stato americano Antony Blinken.
LO STATO ISLAMICO IN AFRICA
L’appuntamento è rilevante perché è ormai tracciato il link di collegamento dello Stato islamico tra la Nigeria e la Libia. Passaggi di armi sono stati intercettati nei pressi del lago Ciad, crocevia di traffici di contrabbandi di ogni genere, a cui i baghdadisti di Sirte arrivano sfruttando un altro territorio senza regole, il Fezzan, la regione meridionale libica, dove si trova una provincia locale dell’Isis, creata anche grazie ai contatti con alcuni clan tribali (gli Awlad Suleyman, per esempio) che controllano l’area.
LA PREOCCUPAZIONE DELL’ONU
Venerdì il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, esprimendo sostegno per l’iniziativa promossa da Buhari, ha redatto una dichiarazione allarmata “per i collegamenti di Boko Haram con lo Stato islamico”. In realtà dal maggio 2015 Boko Haram, il gruppo jihadista nigeriano, non esiste più, si chiama Wilāyat Gharb Ifrīqīyyah, ossia provincia dell’Africa occidentale, ed è una delle province del Califfato al di fuori del territorio centrale. La questione non è accademica, perché se l’Onu sceglie di chiamarla ancora Boko Haram il significato è doppio. Primo, ai baghdadisti nigeriano non piace che ci si riferisca a loro con il vecchio nome, e allora si usa come leva comunicativa, un po’ con lo stesso senso con cui viene usato “Daesh” in Occidente, nonostante sia l’acronimo arabo di Isis. Secondo, ad una anno esatto dal giuramento di fedeltà dei nigeriani a Raqqa (Abu Bakr al Baghdadi comunicò di aver accettato la baya, il giuramento il 7 maggio del 2015), attorno all’ex Boko Haram comincia a muoversi lo spin politico. Finora dei collegamenti tra Nigeria e Libia se n’era parlato poco, erano più blandi, c’era meno passaggio di uomini, soldi, armi, ma ora che si sono consolidati è necessario parlarne, cercando però di non creare allarmismo: ossia, ammettere apertamente che c’è un forte presenza libica dello Stato islamico in collegamento con gli ex militanti del gruppo terroristico più sanguinoso del mondo che si trova nello stesso quadrante geografico, e che adesso queste realtà obbediscono alla stessa catena di comando che esce dai territori del Califfato.
IL RUOLO DEGLI OCCIDENTALI AL VERTICE
È molto importante notare la presenza dei tre alti funzionari occidentali alla riunione di Abuja, schierati dai rispettivi governi in ordine di interessi: per la Francia c’è il presidente, per il Regno Unito il capo della diplomazia, per gli Stati Uniti un alto funzionario.
Parigi ha investito molto nello stabilizzare la regione del Maghreb e quella del Sahel dalla presenza di forze combattenti islamiste, una battaglia ancora lontano dalla fine, portata avanti direttamente da oltre tremila soldati (e mezzi) del contingente Barkhane, nome della missione che segue l’incarico – i soldati stanno fornendo anche formazione alle forze armate locali e in mezzo l’Eliseo ci ha inserito anche qualche affare militare. La Francia considera il Mali, il Ciad, il Niger, la Costa d’Avorio, il Burkina Faso, la Mauritania, parte del cortile di casa, tesse interessi agganciati agli asset locali (sostanzialmente commercio di materie prime), muove influenza in tutta l’area. Uno dei principali timori di Parigi è che i gruppi combattenti della regione, adesso più schierati con al Qaeda ma notoriamente non integerrimi idealisti, spesso più vocati al contrabbando che al Corano, virino verso le istanze del Califfato, creando problemi ai francesi sia perché andrebbero a minare la già precaria stabilità dei partner locali, sia perché potrebbero rappresentare potenziali terroristi che sfrutterebbero le rotte aperte Africa-Francia. A questo si legano le ragioni del pressing interventista di Parigi, che per esempio in Libia s’è mossa molto in anticipo per contrastare lo Stato islamico (appoggiando clandestinamente Khalifa Haftar e diplomaticamente il percorso del governo Onu a Tripoli): evitare il contagio, lo scopo.
Il Regno Unito ha inviato il ministro degli Esteri perché ha comunque interessi estesi in Nigeria, ex colonia britannica, paese che rappresenta in sé tutte le contraddizioni africane: al nord lo Stato islamico sfrutta un contesto di marginalizzazione e isolamento, impoverimento e degrado, per far attecchire le proprie istanze radicali contro l’Occidente che ha deviato e sfruttato, e usa come proxy il sud ricco di risorse, dal petrolio ai diamanti, interlocutore privilegiato di tutte le cancellerie del mondo: Abuja è una delle più forti economie africane.
Gli Stati Uniti invece mandano un funzionario che non ha poteri definitivi: Washington copre da molto tempo la questione terrorismo in Africa centrale, fornisce supporto tecnico e tattico agli eserciti locali, dà la caccia ai leader somali degli Shabaab, ha cura di garantire una presenza minima sul territorio con team di forze speciali che si muovono discretamente tra tutti i vari settori. Ma vuole mantenere un atteggiamento disimpegnato, secondo la dottrina-Obama: la campagna contro i qaedisti somali, per esempio, è svolta quasi esclusivamente attraverso i missili dei droni in decollo dalla grande base di Gibuti (quel “quasi” ha una cadenza temporale: tre giorni fa il Pentagono ha ammesso che un gruppo di forze speciali ha partecipato come consiglieri in un’operazione dell’esercito ugandese), e lo stesso succederà per coprire il quadrante più occidentale (una base è in ampliamento in Niger).
LA MINACCIA REGIONALE
Tutto nell’area ha sapore volatile, e le cose potrebbero cambiare anche repentinamente, ossia i collegamenti potrebbero passare dal livello “minaccia” a quello “emergenza”. In Libia, tra i miliziani del Califfato, ci sono diversi siriani, specialisti mandati per organizzare le strutture, facilitare le comunicazioni, impartire ordini: insieme a loro, centinaia di combattenti che si sono mossi da altre parti dell’africa per rinfoltire i ranghi. È stato lo stesso Blinken a sottolineare alla BBC come la “capacità di comunicazione” dei jihadist nigeriani sia aumentata molto negli ultimi mesi: il campo mediatico è una delle specialità a cui lo Stato islamico ci ha abituato, video professionali, immagini ad alta risoluzione, una differenza enorme rispetto alle Vhs di Osama dalla grotte del Waziristan o alle urla fuori controllo dei video dell’ex leader dei Boko Haram Shekau.