A Pesaro, dove Umberto Eco era di casa, anche il Conservatorio Rossini espresse cordoglio profondissimo quando lo scrittore scomparse. Il personaggio è stato sempre sentito vicino per l’arricchimento spirituale che il suo pensiero ed i suoi scritti hanno donato alla comunità. Ma anche perché un indiretto ma forte legame è sempre esistito proprio con la musica. Eco “sdoganò” la fisarmonica quale strumento efficace – ma i riottosi erano tanti – anche per la musica jazz, di cui fu precursore il suo amico di liceo Gianni Coscia, fisarmonicista jazz. Il Conservatorio Rossini, per primo in Italia, ha attivato una cattedra di fisarmonica con provvedimento dell’allora ministro Franca Falcucci. E la materia ebbe tale successo che anche dalla Corea del Nord sono giunti (con… vigili accompagnatori) a Pesaro studenti per applicarsi allo strumento. Tra il 1958 e il 1959, Umberto Eco ha collaborato – come ricorda Corrado Salemi – con Luciano Berio alla stesura di Thema (Omaggio a Joyce) dando vita ad un brano elettroacustico che mette in musica parti del testo dell’Ulisse di James Joyce. Li furono utilizzati gli studi di linguistica e di fonetica condotti da Eco. Egli fu pure animatore del gruppo legato all’estetica della Neue Musik che gravitava attorno allo Studio di fonologia della RAI di Milano. Ne facevano parte anche Bruno Maderna, Pierre Boulez, Henri Pousseur e Karlheinz Stockhausen. Ed anche qui, prossimità con il conservatorio rossiniano dove da decenni il prof. Eugenio Giordani ha allestito un laboratorio di musica elettronica all’avanguardia in Italia nonché una sala ambisonica di altissimo livello, una dello otto rinvenibili al mondo (le altre sono in Austria, Francia, Gran Bretagna e USA), secondo Wikipedia.
Come trascurare dunque l’amore di Eco per la musica. Ne favorì anche l’avvio all’ascolto da parte del nipotino. Nutrì predilezione in particolare per il barocco. “Quando avevo dodici o tredici anni – dichiarò in una intervista a Paris Review – ero un buon suonatore. Ora non lo sono più. Comunque, provo a suonare quasi ogni giorno”. Di gran rilievo i suoi approfondimenti scientifici su semiotica e musica: si pensi alla prolusione (“Il codice del mondo”) svolta in apertura del XIV congresso della Società Internazionale di Musicologia , nel 1987 a Bologna.
Netta quindi la sua contrarietà a Kant, secondo cui le arti figurative offrono al soggetto una serie di impressioni le quali esercitano un effetto durevole e permanente sull’animo. La musica, invece, opera un’azione esclusivamente transitoria. Essa sarebbe piuttosto godimento che cultura, e quindi arte inferiore perché disturberebbe – cosa che non accade a chi ammira un quadro – anche coloro che non la vogliono sentire. Sottolinea Eco che “ valutare esteticamente la musica perché disturba i vicini è come negare il valore della ‘Aida’ se viene suonata nell’Arena di Verona imponendosi all’ascolto involontario di chi abita nei dintorni”. E pensare che oggi si ricorre al suono per “vedere”. Il film di Juliane Biasi Hendel Il colore dell’erba, pensato per spettatori vedenti e non vedenti, è, per i ciechi, una visione – scrive Severino Colombo – ricca di immagini sonore, e, per vedenti, un invito a provare una visione a occhi chiusi.
Ma la prossimità era anche territoriale, per Pesaro, avendo egli scelto Montecerignone quale luogo di riflessione ed elaborazione. Non molto tempo fa, alle esequie di Enzo Mancini, suo grande amico, nella chiesa di S. Agostino a Pesaro, Eco, nel commosso ricordo che ne tracciò insieme a Furio Colombo, ricordò di avere trascorso per trentaquattro volte l’ultimo dell’anno nella casa di Franca ed Enzo a Montecerignone, “giocando anche a tombola…”.
Ce n’era più che a sufficienza perché, proseguendo gli inviti rivolti a grandi intellettuali (il primo fu Mario Luzi) per le inaugurazioni dell’anno accademico del Conservatorio Rossini, mi rivolgessi, qualche anno addietro, proprio ad Umberto Eco, perché venisse a parlarci di musica. Ma i suoi intensi impegni non consentirono al progetto di andare in porto. Il proposito di riprendere il discorso viene ora tristemente troncato dalla sua scomparsa.
Appresi di lui per la prima volta, quando ero studente universitario, da Ambrogio Albano, direttore del Centro Universitario Marianum a Roma. Questi, militante di Azione Cattolica, mi raccontava di Eco quale giovanissimo esponente del gruppo di dirigenti della Associazione, che, capeggiati da Mario Rossi, erano entrati in conflitto con Gedda, presidente nazionale. Ad essi venivano rimproverate le idee troppo “progressiste” di cui si facevano portatori. Furono “dimissionati” e costretti ad abbandonare l’incarico. “L’Osservatore Romano ci definì comunisti – ha ricordato Eco a Repubblica nel gennaio 2012 – mentre, in realtà, noi leggevamo Jacques Maritain ed Emmanuel Mounier”. Seguirono giorni di magra. Eco non era di famiglia particolarmente abbiente. La madre avrebbe gradito che si laureasse in giurisprudenza, formazione ritenuta più utile per uno sbocco lavorativo di quanto non offrissero le propensioni di Umberto . Che però scelse filosofia. Fu il futuro pontefice mons. Montini a prendersi cura di lui e degli altri giovani in rottura con l’Azione Cattolica di allora, conferendo ad essi aiuti sostanziosi, come lo stesso Eco ha ricordato. Mantenne gratitudine per Paolo VI, ma non serbò rancore per Gedda. Anzi parlando con l’onorevole Gianfranco Sabbatini, in uno degli incontri a casa Mancini, sostenne che, dato il momento storico, occorreva comprendere anche le ragioni di Gedda.
E purtroppo è giunto anche per lui il grande appuntamento. Con addio finale in musica. E’ stata scelta una parte delle Folies d’Espagne – interpreti Cristiano Contadin alla viola da gamba e Roberto Loreggian al clavicembalo – del compositore barocco Marin Marais (1656-1728), che lo scrittore amava suonare nella trascrizione per flauto dolce. A conclusione degli interventi commemorativi il regista Moni Ovadia, agnostico, ha rivendicato la facoltà di conferire la “benedizione” (nostalgia di Dio?) “a un non credente”, quale era Eco. “Che Dio ti benedica soprattutto perché non credente”, ha detto Ovadia, “giacché – con una battuta degna dello spirito che ha sempre accomunato i due personaggi – Dio sopporta i credenti ma predilige decisamente gli atei”. Mi confida padre Armando Pierucci (un santo frate docente di organo che a Gerusalemme ha fondato il “Magnificat”, istituto musicale dove studenti arabi, ebrei ed armeni, e le loro famiglie, convivono serenamente): “Umberto Eco, grande scrittore formatosi su San Tommaso e Maritain, ha finto sino alla fine di essere ateo; ma il Signore sa tutto”.
Giorgio Girelli (presidente del Conservatorio Statale di Musica “Rossini”)