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Venezuela, il documentario italiano che aveva previsto la crisi

Quando Silvia Luzi e Luca Bellino, autori del documentario “La Minaccia”, sono atterrati sul suolo venezuelano, nel 2007, erano simpatizzanti del presidente Hugo Chávez. La giovane giornalista e il documentarista, professore di Cinema all’Università Roma Tre, erano partiti con la sensazione che il chavismo stesse rivoluzionando il continente latinoamericano e che il cambiamento fosse positivo. Ma la realtà a cui hanno assistito li ha convinti del contrario, trasformando il loro documentario in un polemico atto d’accusa verso il governo bolivariano che, accortosi dell’atto di denuncia, ha cercato di boicottarli. Come se non bastasse, la Rai, che aveva comprato i diritti d’autore, ha sempre eluso la messa in onda del documentario, nonostante la qualità del prodotto – apprezzato in tutto il mondo e, in Italia, finalista ai David Donatello – e la tempestività con cui era stato realizzato.

L’INCONTRO CON CHÀVEZ

Il documentario “La Minaccia” permette di capire cosa è realmente successo in Venezuela, al contrario dell’opera di propaganda di Oliver Stone “South of the borders”, acclamato a Venezia da quanti sognano una nuova Cuba. La storia de “La Minaccia” – il titolo viene da uno studio nordamericano sul Venezuela – comincia nel nord dell’America Latina. Con un budget ridotto a disposizione, Luzi e Bellino hanno preso un aereo per Caracas attrezzati di camera e pellicole video. Sono arrivati all’aeroporto internazionale di Maiquetia “Simon Bolivar” nell’agosto del 2007 e hanno passato in Venezuela due mesi, riprendendo tutto quello che vedevano. Grazie a una mail inviata alla famosa Teresita Maniglia, allora dirigente del ministero delle Comunicazioni, Luzi e Bellino sono riusciti a partecipare alla 288esima edizione del programma domenicale “Alo, presidente”, condotto dal presidente Chávez in persona. Assieme al capo di Stato sono andati fino alla Faja del Orinoco, vicino alla riserva di petrolio più grande del mondo. Gli autori del documentario hanno accompagnato Chávez durante un’intera giornata di viaggio, riuscendo così ad osservare da vicino la vita dei venezuelani, a nove anni di distanza dall’inizio della rivoluzione bolivariana.

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I PRIMI SCONTRI CON IL GOVERNO

Dopo quella prima esperienza, che li ha resi famosi tra i venezuelani, i due giovani si sono tuffati a capofitto nella realtà del Paese, per andare alla ricerca di risposte. Luzi e Bellino volevano verificare se la promessa fatta da Chávez, ossia quella di far nascere una società socialista in un’era post-ideologica, fosse stata mantenuta. La stessa promessa che nell’opera di Oliver Stone viene ribadita, senza però metterne in luce anche le contraddizioni. Finita l’esperienza catodica, con tanto di saluto “ai due compagni italiani”, baci e abbracci, Luzi e Bellino hanno ricevuto una serie di inviti, da parte del governo, per visitare le diverse campagne sociali in cui questo è impegnato: “Barrio Adentro”, dedicata alla salute; la rete di alimenti “Mercal” e viaggi turistici per le isole del parco nazionale Mochima. Luzi e Bellino hanno anche visitato i luoghi tipici del chavismo, gli stessi a cui si è rifatto Stone per il suo documentario.

Ma i due italiani puntavano ad altro. Hanno provato a spiegare ai funzionari del ministero del Turismo che loro volevano soltanto una macchina, un’agenda di contatti e una guida turistica per percorrere le diverse regioni del paese. Niente da fare. Il governo ha mandato una serie di autobus, pieni di sostenitori chavisti, che hanno accolto in albergo in due italiani, armati di cartelloni che riproducevano un primitivo disegno fatto su un pezzo di carta dal titolo: “Settimana di un giovane italiano in Venezuela”. Accanto, il disegno di una macchina, un’agenda di contatti e una guida turistica. In quel momento, Luzi e Bellino hanno capito che avrebbero dovuto proseguire da soli.

I PRIMI SEGNI DELLA CRISI

Dalle prime conversazioni con i cittadini comuni, Luzi e Bellino hanno appreso che le azioni e le misure del governo sono insufficienti. “Non bastano le missioni del governo per combattere l’analfabetismo e la fame, non bastano gli accordi internazionali d’assistenza sanitaria con Argentina e Cuba. Non basta trasformare le imprese private in cooperative socialiste per fortificare l’economia”, raccontò Luzi al quotidiano Il Riformista. Gli autori hanno visto Petare, la più grande favela dell’America latina, hanno percorso le saline di Las Cumaraguas e le foreste dello stato Falcon. Hanno anche parlato con chi la violenza la sperimenta quotidianamente: sono entrati negli ospedali, pieni di feriti d’arma di fuoco; sono andati al consolato italiano a Caracas, dove la lunga fila di gente che dall’alba aspetta il proprio passaporto è testimonianza del frenetico desiderio di scappare, emigrare.

UN DOCUMENTARIO DIVISO IN DUE

Per Luzi e Bellino, “La Minaccia” è “il tentativo di restituire una lettura non ideologica del Venezuela durante la consolidazione della rivoluzione bolivariana. La facciata di un paese compatto che cammina verso il socialismo del XXI secolo si spezza poco a poco e noi proviamo a entrare in quelle crepe di una divisione che non è solo elettorale ma anche quotidiana, una rottura che si percepisce passando da un luogo a un altro, una tensione che si trasforma in un’aggressività allarmante che caratterizza i gesti più semplici e i rapporti più consolidati”. Questa schizofrenia che si respira nell’aria, e che si deve in parte a Chávez doctor Jekyll politico e mister Hyde mediatico, è una costante del documentario. “Questo è il nostro viaggio, diviso in due momenti: l’iniziale fascino verso una rivoluzione tanto celebrata, e la successiva presa di coscienza che probabilmente non ci sono più spazi per le ideologie al servizio della politica”, raccontano Luzi e Bellino. Dopo la separazione dagli organi di propaganda, il percorso solitario è stato duro, pieno di paure e di dubbi. Non solo la paura generata dall’alto indice di criminalità che pone Caracas in cima alla classifica delle città più pericolose al mondo, ma anche il turbamento per alcune strane mosse dei funzionari ufficiali, persino militari, che prima hanno sponsorizzato la loro visita e poi hanno iniziato a guardarli con sospetto.

LA VENDITA ALLA RAI

Una volta tornati in patria, le difficoltà sono aumentate e gli imprevisti pure. Gianni Riotta, allora direttore del Tg1 della Rai, era entusiasta del documentario. Aveva suggerito di tagliarlo per farlo diventare un prodotto di 70 minuti e aveva dato il via all’acquisto. Luzi e Bellino hanno rifiutato altre offerte e hanno venduto il documentario alla Rai. Il prodotto doveva essere trasmesso il 1° dicembre del 2007, un giorno prima del referendum per l’approvazione della nuova Costituzione, che permetteva la rielezione indefinita del presidente della Repubblica Chávez. Per ragioni rimaste ignote, la trasmissione è stata sospesa e il lavoro di ricerca, registrazione e post-produzione è rimasto in qualche cassetto della tv italiana. Intanto, si risolveva felicemente il contenzioso aperto dall’Eni con la compagnia statale venezuelana Pdvsa per un accordo per l’esplorazione ed eventuale estrazione della riserva petrolifera del Orinoco, al sud del Venezuela (nella foto Hugo Chávez, Massimo D’Alema, Nicolas Maduro e Paolo Scaroni durante la firma dell’accordo). “La Minaccia” è stato proiettato in diversi festival, locali e internazionali. È stato venduto e trasmesso in Francia, Giappone, Finlandia e Inghilterra, con la menzione speciale all’International Reportage Award dei David di Donatello del 2008.



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