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Vi racconto le bizzarre amorevolezze tra Fatto di Travaglio e Giornale di Sallusti

La parabola evangelica del figliol prodigo evidentemente non piace ai giornali di area comunemente definita ancora di centrodestra, divisi anche loro sulle prospettive di una sua ricomposizione: se a trazione ancora moderata, come Silvio Berlusconi ha mostrato di volere quando ha condiviso la candidatura di Alfio Marchini a sindaco di Roma, o a trazione leghista, come reclama, fra i mugugni e le proteste di Umberto Bossi, il segretario del Carroccio Matteo Salvini. E come sarebbe disposta ad accettare la sorella dei Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, candidatasi al Campidoglio con l’appoggio appunto di Salvini, anche se i numeri elettorali della Lega a Roma sono da prefisso telefonico. Né sembrano destinati a salire più di tanto con il ripescaggio come capolista dalla ormai molto ex presidente della Camera Irene Pivetti.

Il Giornale della famiglia Berlusconi e Libero, il quotidiano dove è appena tornato a scrivere Vittorio Feltri per spiegare ai lettori perché considera “finito” l’ex presidente del Consiglio, hanno reagito allo stesso modo, più protestando che compiacendosi, per la svolta garantista della Repubblica: quella di carta, diretta da Mario Calabresi.

Filippo Facci su Libero e il direttore Alessandro Sallusti in persona sul Giornale hanno preteso le scuse del nuovo vice direttore di Repubblica Gianluca Di Feo e dell’editorialista Francesco Merlo per avere scoperto con troppo ritardo, criticando l’arresto del sindaco renziano di Lodi Simone Uggetti e le motivazioni addotte dalla giudice delle indagini preliminari Isabella Ciriaco, gli errori e gli sconfinamenti dei quali sarebbero capaci i magistrati in Italia. Sempre difesi invece in passato da Repubblica, quando a farne le spese era Berlusconi. Ma prima ancora di lui – bisognerebbe ricordare – anche parecchi imputati più o meno eccellenti di Mani Pulite o Tangentopoli, ammanettati e poi assolti, o neppure arrivati al processo. Erano gli anni in cui Vittorio Feltri alla guida dell’Indipendente, come lui stesso avrebbe poi ammesso, incalzato dalle rievocazioni critiche del figlio Mattia, pur di vendere più copie e di salvare il suo quotidiano in crisi valorizzava al massimo le gesta popolari dell’allora sostituto Procuratore della Repubblica di Milano Antonio Di Pietro.

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Per una volta, ma temo che non sarà l’unica, i due giornali dell’area di centrodestra si sono ritrovati insieme con Marco Travaglio ad attaccare, in particolare, Francesco Merlo. Loro per il ritardo all’approdo garantista e l’altro per avere osato fare le pulci alle motivazioni, sostantivi, aggettivi e altro del giudice che ha mandato a San Vittore il sindaco lodigiano. E ve lo ha lasciato, respingendo l’istanza degli avvocati difensori per l’arresto domiciliare, anche dopo averlo interrogato per raccogliere le spiegazioni della turbativa d’asta contestagli per la gestione delle piscine comunali, su denuncia di una dipendente che si chiama Uggè, casualmente diminutivo del cognome del sindaco: Uggetti. Che si è difeso e si difende sostenendo di avere voluto favorire nell’appalto un’azienda partecipata dal Comune e il personale assunto sul posto.

A criticare la giudice sono stati peraltro, oltre ad esponenti politici non sospettabili certamente di lassismo morale come il vecchio dirigente comunista Emanuele Macaluso, avvocati, professori e magistrati. Che, pur con la cautela imposta dalla natura preliminare delle indagini, e quindi dalla conoscenza solo parziale dei loro sviluppi, hanno trovato non comuni le circostanze dell’arresto, sia per il tipo di reato contestato sia per la consistenza modesta del valore dell’appalto.

Ma quel che mi ha ancora di più sorpreso della linea, in particolare, del Giornale è un titolo, che avrei compreso di più sul Fatto Quotidiano, relativo alle proteste levatesi contro il consigliere superiore e togato della magistratura Piergiorgio Morosini, criticato persino dalla giunta dell’associazione nazionale dei magistrati ora presieduta da Piercamillo Davigo per l’ostilità politica dichiarata al presidente del Consiglio e alla sua riforma costituzionale in una intervista al Foglio. Intervista da lui negata nella forma, e anche in alcune parole attribuitegli, come quelle sulla necessità di “fermare” Renzi, ammettendo però di avere incontrato la giornalista che l’aveva firmata.

Ebbene, scoppiata la polemica, con un intervento critico anche del vice presidente del Consiglio Superiore concordato col presidente Sergio Mattarella, in un titolo di prima pagina del Giornale si parla del “governo” che “imbavaglia” il magistrato per avere “parlato male di Renzi”. Travaglio, evidentemente compiaciuto, ha disposto immediatamente una bella intervista ad Alessandro Sallusti, guadagnandosene gli elogi per la “coerenza” con la quale Il Fatto Quotidiano solidarizza sempre con i magistrati. Anche con quelli che le sparano più grosse.

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Anziché dare del benvenuto ai garantisti in ritardo, da certe parti si preferisce quindi – chissà perché – attaccarli e respingerli, per restituirli e inchiodarli al loro passato. Poco evangelicamente, dicevo all’inizio evocando la parabola del figliol prodigo, ma anche poco opportunamente sul piano politico. E’ un errore analogo a quello compiuto in occasione dei tentativi falliti a Montecitorio l’anno scorso di eleggere come giudice della Corte Costituzionale l’ex presidente pidino della Camera Luciano Violante. Che fu penalizzato a scrutinio segreto da compagni di partito e parlamentari dello schieramento berlusconiano: gli uni per avere riconosciuto da qualche anno con particolare meticolosità gli errori della parte più sindacalizzata e militante della magistratura e gli altri per averlo fatto troppo tardi.

Il risultato fu di privare la Corte Costituzionale di un giudice d’indubbia competenza.

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