Arnaldo Borghesi, fondatore e presidente di Borghesi & Associati, uno dei principali advisor finanziari in Italia, è perplesso, per usare un eufemismo, sulle idee riguardo Acea della candidata 5 Stelle al Comune di Roma, Virginia Raggi. “Andiamo con ordine: Acea è una società a fine di lucro, come oggetto sociale ha la produzione e la distribuzione di servizi, e ha migliaia di azionisti privati. Investitori e risparmiatori, grandi e piccoli, che vivono di cedole e hanno il sacrosanto diritto di vedere remunerato il proprio investimento. Il Comune è l’azionista di maggioranza, condizione che però non gli concede alcun diritto speciale rispetto agli azionisti di minoranza. Ha solo la possibilità di presentare una lista in assemblea che inevitabilmente prenderà la maggioranza dei seggi nel consiglio di amministrazione, quindi, sì, può indicare gli amministratori, ma lì si deve fermare, perché in nessun caso questi amministratori potranno prendere decisioni che colpiscano diritti e interessi degli azionisti, grandi o piccoli che siano. E tra i diritti, come detto, c’è quello di veder remunerato l’investimento”.
Virginia Raggi dice che non è etico fare i soldi sull’acqua dei cittadini.
Guardi, il Comune può anche decidere di regalarla, l’acqua, solo che se vuole farlo attraverso l’Acea prima deve ricomprarsela. Qui si dimentica che l’azienda è stata privatizzata attraverso il collocamento del 49 per cento sul mercato.
Quindi?
Quindi se il Comune la rivuole indietro deve lanciare un’opa totalitaria a valori di mercato. Il che significa dichiararsi disposto ad acquistare le azioni a una media ponderata delle quotazioni degli ultimi sei mesi, più un premio tra il 35 e il 37 per cento; stiamo parlando di circa 1,7 miliardi di valore. Una volta rastrellate le azioni, potrà anche effettuare il delisting. Attenzione, però, quei soldi non basterebbero comunque, perché Acea, società ben amministrata, ha un debito di 2,2 miliardi ed è chiaro che qualsiasi banca, di fronte a un suicidio industriale del genere, richiederebbe il rientro del credito. Quindi ai soldi per l’opa bisognerebbe aggiungere quelli per il rimborso del debito. Acea li ha questi soldi? Certo che no. Ce li ha l’azionista Comune? No, anzi ha un debito così insostenibile che quasi due terzi glieli sta pagando a rate lo Stato. Quei soldi il Comune può farseli prestare dalle banche? Non scherziamo. Allora di che cosa stiamo parlando? Di propaganda elettorale e quindi di niente di serio. E per fortuna! Perché se no sarebbe ancora più grave.
In che senso?
Non ci si rivolge al mercato così, con leggerezza. Un’amministrazione pubblica è parte dello Stato e, se ha chiesto soldi al mercato, deve rispettare le sue regole. Quante azioni Acea sono in mano a fondi esteri? Sono fondi che hanno acquistato quote di un’azienda pubblica sulla base della credibilità dello Stato e del Comune di Roma. Se il Comune fa marcia indietro, è la credibilità dell’Italia a essere messa in discussione. Poi voglio vedere chi andrà ancora a Londra a chiedere d’investire in Italia. Senza pensare che un’opa e un delisting di Acea colpirebbero a cascata tutto il settore delle utility; una distruzione di valore incalcolabile. Anzi, già il prendere troppo sul serio un’ipotesi del genere sta facendo danni, come dimostra il titolo Acea, che da lunedì ha perso il 3 per cento al giorno.
(Pubblicato su Mf, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)