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Banco Popolare, ecco perché l’aumento di capitale fa mormorare i vecchi azionisti

Pier Francesco Saviotti
Tutto è pronto: lunedì 6 giugno prenderà il via l’atteso aumento di capitale da 996,34 milioni di euro, in pratica 1 miliardo, del Banco Popolare. Obiettivo dell’operazione, come ribadito da Luca Davi sul Sole 24 ore, è quello di aumentare le coperture a fronte dei crediti deteriorati, i tanto temuti non performing loan o npl, in vista della fusione con la Popolare di Milano.

LE RAGIONI DELLA RICAPITALIZZAZIONE
In pratica, l’istituto guidato da Pier Francesco Saviotti è chiamato a rafforzare la propria base patrimoniale perché, unendo le forze con Bpm, diventerà più grande. E più le banche aumentano di dimensioni, più sono richieste loro spalle più larghe per fronteggiare eventuali avversità. A rendere perfettamente il concetto è la nota informativa autorizzata da Consob e pubblicata in vista dell’operazione: “Nell’ambito delle interlocuzioni intercorse con la Bce, è stato sottolineato che, qualora l’operazione di fusione (con Bpm) fosse realizzata, la società risultante diverrebbe la terza banca del Paese”, dunque alle spalle soltanto di Unicredit e Intesa Sanpaolo.
E, aggiunge il documento, “coerentemente con il ruolo, la Bce ha richiesto che la nuova capogruppo, sin dall’inizio abbia una forte dotazione patrimoniale che consenta di fronteggiare condizioni finanziarie avverse” ma anche che “disponga di un convincente piano di riduzione dell’attuale elevato ammontare di crediti deteriorati, che non potranno essere più elevati o caratterizzati da un livello di copertura inferiore al valore medio delle banche italiane di equivalente importanza”.

IL NODO DELLA BCE
Lo stesso documento informativo rivela nuovi retroscena del rapporto tra il Banco e la Bce, cui spetta la vigilanza degli istituti dell’area dell’euro. Come scrive Fabrizio Massaro sul Corriere della Sera del 5 giugno, “a destare sorpresa è stata l’informazione nel prospetto dell’aumento che il 12 maggio gli ispettori Bce sono tornati per verificare la gestione dei rischi di credito, il sistema di controllo dei rischi e l’accuratezza delle modalità di calcolo della posizione patrimoniale”. Non solo: “Il prospetto – aggiunge il Corriere della Sera – non esclude che dalla Vigilanza Unica guidata da Danièle Nouy possano arrivare richieste di modifica del piano strategico, con impatti che potrebbero incidere negativamente sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria della nuova capogruppo o sulla realizzabilità dell’operazione di integrazione”. E ancora, avverte la nota informativa dell’aumento, “gli impatti negativi potrebbero essere ancor più marcati nella misura in cui il gruppo dovesse essere costretto a perseguire obiettivi di riduzione” di crediti dubbi “più stringenti in termini di ammontare o di tempi rispetto a quelli pianificati”.

I DETTAGLI DELL’OPERAZIONE
Vediamo i dettagli dell’aumento di capitale del Banco che prenderà il via lunedì 6 giugno. L’operazione si chiuderà il 22 dello stesso mese, mentre i diritti collegati alla ricapitalizzazione saranno negoziati in Borsa dal 6 al 16 giugno. Il prezzo di sottoscrizione dei nuovi titoli è stato fissato a 2,14 euro, con uno sconto del 29,3 per cento rispetto al cosiddetto Terp, ossia il valore dell’azione depurato da quello dei diritti, del primo giugno. Gli azionisti potranno sottoscrivere i titoli a 2,14 euro l’uno nel rapporto di nove nuovi ogni sette già posseduti. I giornali del 2 giugno tendono a fare notare pressoché all’unanimità che lo sconto sul Terp è minore rispetto al 30 per cento ipotizzato dagli analisti e preventivato dallo stesso Banco, interpretandolo come un segnale di fiducia in un momento in cui di certo per una banca non deve essere semplice andare sul mercato a battere cassa.

CROLLO VERTICALE PER L’AZIONE
Potrà anche trattarsi di un segnale di fiducia ma non si può non evidenziare come le azioni del Banco, negli ultimi tempi, siano letteralmente crollate a Piazza Affari. “Lo sconto cui sono offerte ora le nuove azioni non è molto alto, sintomo di fiducia – ha osservato Vittoria Puledda su Repubblica – ma sono le azioni stesse ad aver perso moltissimo”. Vediamo quanto. Innanzi tutto, nell’ultima seduta di mercato prima della partenza dell’operazione di ricapitalizzazione, quella di venerdì 3 giugno, i titoli del gruppo con base a Verona hanno ceduto oltre il 5 per cento in un colpo solo, chiudendo a 3,954 euro, nuovo minimo dell’anno. In questo modo, la performance dell’azione negli ultimi sei mesi risulta negativa per oltre il 70 cento e sale a -75 per cento prendendo in considerazione l’anno intero. Negli ultimi 12 mesi le azioni del Banco, che tra l’altro già nel 2014 erano state raggruppate nel rapporto di una ogni dieci, hanno raggiunto un massimo appena sopra quota 16 euro, mentre soltanto all’inizio di gennaio del 2016 viaggiavano sopra quota 12. E anche con l’inizio della ricapitalizzazione, sottolinea Massaro del Corriere della Sera, “il timore è che in Borsa il Banco continui ad essere sotto pressione trascinando al ribasso anche la Bpm, che ha già perso il 45% circa e a cui è agganciata dal concambio per la fusione (54% Banco, 46% Bpm)”.

VECCHI SOCI IMPOVERITI
Insomma, anche i soci del Banco, in modo analogo rispetto a quelli della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca sebbene per una entità minore, hanno già dovuto sopportare un forte ridimensionamento del prezzo del titolo in portafoglio, molto maggiore della flessione media della Borsa. Tra l’altro, sempre su Repubblica, Puledda sottolinea come il calendario dell’aumento del Banco si sovrapporrà con quello dell’istituto di Montebelluna, che pure chiederà un miliardo al mercato. Ma a differenza di Veneto Banca, destinata con ogni probabilità a entrare sotto il controllo del fondo “di sistema” Atlante come già accaduto alla vicina Popolare di Vicenza, il Banco può contare su un consorzio di garanzia già composto da Mediobanca (storicamente vicina a Saviotti) e Merrill Lynch e pronto persino ad aumentare. Questo significa che a sottoscrivere l’eventuale inoptato dell’aumento saranno appunto Merrill Lynch e Mediobanca. Secondo Repubblica, altre banche si sarebbero fatte avanti per allargare il consorzio, “che però è stato volutamente tenuto ristretto a due”, altro segnale interpretato come “di fiducia”. Come dire: c’è una tale certezza che l’operazione avrà successo, e cioè che i soldi arriveranno dal mercato, che bastano due soli istituti a fare da garanti.

BANCO… DI PROVA
È evidente che non sono poche le differenze tra la situazione di Veneto Banca e quella del Banco Popolare. A cominciare dal fatto che l’aumento del secondo istituto non serve a mettere in sicurezza i conti in senso assoluto ma a metterli in sicurezza in vista della fusione con Bpm. Tuttavia, è altrettanto evidente che quella che stiamo attraversando è una fase quanto mai difficile per il settore bancario di casa nostra. In questo senso, vedere come andrà la ricapitalizzazione del Banco sarà fondamentale per comprendere, al di là delle situazioni più complesse, se il mercato è ancora pronto a dare fiducia agli istituti italiani. Anche perché prima della fine dell’anno potrebbe dovere andare sul mercato a batter cassa una “big” del calibro di Unicredit.


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