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Fondo Atlante, imposte, appalti. Tutte le tensioni tra Casse previdenziali e governo

Matteo Renzi

Che cosa sta succedendo tra Palazzo Chigi e le casse dei professionisti? Tra gli enti previdenziali e l’esecutivo ci sono alcune tensioni su tre questioni: la partecipazione (smentita) al Fondo Atlante due, alcune incomprensioni sul codice degli appalti per cui ballano una cinquantina di milioni e l’onnipresente questione fiscale, con gli enti tornati alla carica sullo sconto per gli investimenti. Ma andiamo con ordine.

ATLANTE SI’ (OPPURE NO)

La prima questione riguarda il coinvolgimento delle casse previdenziali nel Fondo Atlante. Nei giorni scorsi alcune indiscrezioni di stampa, rilanciate anche dal Corriere della Sera, avevano parlato di un “negoziato” in atto tra gli enti previdenziali e governo, rappresentato dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Tommaso Nannicini, per la partecipazione dei primi al Fondo, con un apporto di 4 miliardi di euro. Notizie che lo stesso braccio destro di Matteo Renzi si era apprestato a smentire bollando come fasullo ogni ipotesi di incontro casse-governo. A monte della smentita di Palazzo Chigi, ci sarebbero stati alcuni oggettivi ostacoli. E cioè che la commissione europea non vedrebbe di buon occhio la partecipazione delle casse al Fondo, visto e considerato che per la legge italiana sono da considerarsi come soggetti pubblici. Dunque, si sarebbe andati incontro a un inevitabile aiuto di Stato, sanzionabile da parte di Bruxelles. Altro aspetto, secondo le casse l’investimento in Atlante sarebbe stato troppo rischioso e poco compatibile con enti che debbono garantire il pagamento delle pensioni. Un’ipotesi respinta anche dal numero uno di Inarcassa, Giuseppe Santoro, che pochi giorni fa ha escluso ogni forma partecipazione al progetto Atlante. Ma cosa ha davvero spinto le casse a tirarsi indietro?

LA VERITA’ SUL DIETROFRONT DELLE CASSE

All’origine del no ad Atlante ci siano state, tra le altre, anche questioni legate alla tempistica e ai modi con cui il governo ha proposto agli enti di partecipare all’investimento. La questione del coinvolgimento nel Fondo “è stata sottoposta otto giorni prima della scadenza”. Un margine che le casse avrebbero considerato “troppo ridotto per un’attenta valutazione di una proposta così delicata, considerato anche che il tutto avrebbe dovuto essere prima vagliato attentamente da alcuni comitati preposti interni alle casse”, fa notare una fonte al corrente del dossier, precisando come l’atteggiamento del governo “è stato in questo senso poco strutturato”. Ma poi anche la questione aiuti di Stato ha giocato un ruolo non secondario. Secondo i medesimi ambienti, un intervento delle casse avrebbe certamente attirato le attenzioni di Bruxelles. Di qui la richiesta delle casse di avere rassicurazioni in caso di stop improvviso all’operazione. Garanzie, dice la fonte, che non sarebbero arrivate. Terzo e ultimo punto, la rischiosità dell’investimento, decisamente alta per chi deve garantire pensioni ogni mese. Anche in questo caso gli enti avrebbero chiesto precise garanzie. Che però non li avrebbero convinti.

IL GIALLO DEL CONTRIBUTO DEL 4%

Ma le fibrillazioni tra le casse e l’esecutivo non finiscono qui. Perché l’altra questione riguarda direttamente quel codice degli appalti, licenziato da poco dal Parlamento e di cui l’Anac ha attuato i primi provvedimenti attuativi. Di che si tratta? Poche settimane fa le casse previdenziali cosiddette “tecniche”, ovvero rappresentanti ingegneri, architetti, geometri e periti industriali, hanno scritto al governo per chiedere immediati chiarimenti e garanzie circa il cosiddetto contributo integrativo del 4%. Si tratta di quella percentuale che le società di ingegneria o di professionisti del settore edile percepiscono dal committente di turno e poi girano all’ente previdenziale di riferimento, come peraltro previsto da un decreto del 2006 e dal regolamento sulla previdenza del 2012. Il fatto, hanno lamentato le casse, è che nei regolamenti attuativi approntati dall’Anac, non c’era traccia di tale contributo previsto dalla legge. Il che ha fatto immediatamente scattare i vertici degli enti in questione, preoccupati di dover improvvisamente rinunciare a una fetta di entrate. “Per noi”, spiega una fonte vicina a Inarcassa, l’ente degli ingegneri e architetti, “si tratta di cinquanta milioni di euro all’anno”.

IL SILENZIO DEL GOVERNO

La lettera inviata al governo però, dicono ambienti di Inarcassa a Formiche.net, non avrebbe finora sortito alcun effetto. Nel senso che da Palazzo Chigi non sarebbe ancora arrivato nessun segno circa la garanzia del mantenimento del contributo. Un silenzio che ha lasciato un po’ perplessi gli enti previdenziali. Anche l’Oice, l’associazione delle società di ingegneria e architettura aderente a Confindustria si aspetta infatti dei chiarimenti dal governo. Dopo aver preso atto del mancato menzionamento del contributo nei regolamenti Anac, l’Oice è tornato sull’argomento, auspicando una pronta chiarezza, anche per non mettere in cattiva luce le stesse associate.  “Confidiamo che si possa fare definitiva chiarezza, anche in prospettiva, in maniera da evitare ripercussioni negative sulla regolarità contributiva dei nostri associati”, ha spiegato l’associazione. Che dunque vuole capire al pari delle casse se il contributo va versato o meno.

IL (NUOVO) SCONTRO SULLE RENDITE

Infine il terzo fronte. Pochi giorni fa ancora il presidente di Inarcassa, Santoro, ha rilanciato l’apertura di un confronto sulla tassazione che il governo ha previsto per le rendite delle casse, equiparate a quelle finanziarie e fissate al 26% con la manovra 2015. Una misura che gli enti hanno sempre respinto, giudicandola iniqua e ingiusta. “Mettiamo sul tavolo la questione della tassazione al 26% sui rendimenti finanziari” che grava sugli Enti, pure se “noi paghiamo pensioni, non facciamo speculazione”, ha detto Santoro. Quanta carne al fuoco.


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