Seconda parte dell’analisi del generale Jean. La prima parte si può leggere qui
L’OFFENSIVA DI HAFTAR
Anche in Libia, le forze di Daesh sono in crisi. Le milizie di Misurata avanzano da Ovest verso la roccaforte di Sirte. Quelle del generale Haftar, a cui si sono unite molte Guardie delle installazioni petrolifere, stanno attaccando da Est e da Sud la roccaforte jihadista. La distruzione dell’Isis in Libia non sarebbe disastrosa per il califfato. Lo sarebbe invece la sconfitta in Siria e in Iraq. Senza un territorio e una popolazione, esso non può sopravvivere. Molto verosimilmente si determinerebbe il crollo morale dei suoi seguaci. Scomparirebbe la sua capacità di fare riferimento alla “profezia di Maometto” e la sua forza d’attrazione nei riguardi dei giovani musulmani.
IL PIANO B DI AL-BAGHDADI
Al-Baghdadi e il nucleo più fanatico dei suoi seguaci non si arrenderanno. Certamente hanno pensato a che cosa fare in caso di sconfitta. Potrebbero scegliere varie strategie. La prima è di cercare il “martirio” con attacchi alla disperata, possibilmente spettacolari, sia nei paesi arabi che in Occidente. Passerebbero così alla storia, come eroi dell’Islam. A parer mio, è l’ipotesi più probabile. La seconda scelta sarebbe quella di passare alla clandestinità, rinunciando al “califfato” e adottando organizzazione e strategie simili a quelle dei gruppi regionali di al-Qaeda. I foreign fighters tornerebbero nei paesi di origine, unendosi ai gruppi radicali in essi esistenti. La terza opzione sarebbe quella di ricollocare il califfato in altri paesi, come in Libia e in Nigeria. Essa mi sembra la meno probabile, anche perché Daesh è sempre stato accentrato, alieno a qualsiasi decentramento regionale. La sua spiccata centralizzazione è stata verosimilmente influenzata dalla presenza ai suoi vertici militari e amministrativi di ufficiali e funzionari di Saddam Hussein.
IL FUTURO POST-ISIS
Le difficoltà del Medio Oriente e dell’Africa “bianca” non scompariranno con la fine dell’Isis. Da un lato, il terrorismo è come l’”araba fenice”. E’ destinato a risorgere dalla proprie ceneri, adeguando organizzazione e tattiche. In secondo luogo, nessuno sa come porre rimedio all’indebolimento della forma di stato imposta dall’Europa all’intera regione. Dominano i clan, le tribù e le etnie. A differenza dell’era coloniale, l’Occidente non ha alcuna intenzione di assumersi l’onere del mantenimento della sua stabilità. Non è da escludere che gli attuali stati si frantumino. Nel migliore dei casi, si riuscirà a imporre, con la forza beninteso, una soluzione di tipo bosniaco. Nel peggiore dei casi, scoppieranno guerre civili prolungate, con l’aumento della pressione migratoria e della criminalità organizzata. Sarebbe auspicabile che l’Europa – e, in sua assenza, l’Italia – prendesse atto dei probabili scenari futuri e che si organizzi per fronteggiarli.