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Tutti i nuovi attriti fra Cina e Stati Uniti

“L’ascesa cinese pone due sfide per gli Stati Uniti: come scoraggiare la Repubblica popolare dal destabilizzare l’Est asiatico e come incoraggiarla a contribuire alla governance globale multilaterale”, scriveva Thomas Christensen sul numero di ottobre scorso di Foreign Affairs. Il professore della Woodrow Wilson School dell’Università di Princeton, in New Jersey, co-direttore del programma “China and the World”, spiegava che la situazione attualmente è più tesa che nel periodo precedente all’Amministrazione Obama, nonostante diventare il “pivot asiatico” fosse uno degli obiettivi dell’ancora per poco inquilino della Casa Bianca, ma per Christensen le colpe non sono da intestare tutte su Washington, anzi: “La Cina è emersa dalla crisi finanziaria globale in modo arrogante sulla scena internazionale, ma insicura in casa: una combinazione tossica che ha fatto sì che gestire i rapporti [diventasse] ancora più difficile del solito”.

DESTABILIZZAZIONE DELL’EST ASIATICO

Alla vigilia del suo viaggio a Pechino per gli incontri dell’ottavo dialogo strategico ed economico tra Stati Unti e Cina, chiusosi il 7 giugno, John Kerry, il segretario di Stato americano, aveva chiesto di abbassare i toni sulle contese nel Mar Cinese Meridionale, dove il governo cinese rivendica la sovranità su un gruppo di isolotti apparentemente insignificanti ma che si portano dietro perimetri marittimi costituiti da acque ricche di risorse primarie e soprattutto rotte commerciali globali. Gli Stati Uniti temono che se l’arbitrato internazionale dovesse dar ragione alle Filippine su una causa intentata contro la militarizzazione cinese di quei lembi di terra emersa nel Pacifico, Pechino potrebbe dichiarare nell’area una zona di identificazione di difesa aerea, o ADIZ, come già fatto nel 2013; un atto provocatorio, unilaterale, aggressivo e “destabilizzante” dice Kerry.

LA GOVERNANCE GLOBALE

La questione del non alterare la stabilità regionale si fonde con i problemi di governance globale. Kerry a Pechino ha parlato anche della possibilità che l’India entri nel Nuclear Supply Group (Nsg), ossia che venga definitivamente annoverata tra le potenze nucleari mondiali, una volontà di Barack Obama fin dal 2010. La Cina, che vede gli indiani come rivali regionali (anche perché in questo momento molto vicini agli americani, e all’Occidente in genere), ha lavorato per porre il veto, calcando sulle controversie di Nuova Delhi, che ancora non ha firmato l’accordo di non proliferazione e non sarebbe in linea con gli standard richiesti dall’Nsg. Allo stesso tempo, però, Pechino vorrebbe introdurre nel gruppo il Pakistan, un altro tra i soli quattro paesi al mondo a non aver aderito alla non proliferazione (gli altri sono Israele e Sud Sudan). Islamabad ha una rapporto preferenziale con la Cina, che foraggia di materiale nucleare il paese (in incoerente violazione dell’Nsg) e manda fattura a Riad, alleato e finanziatore pakistano. Per questo ha interesse a bilanciare l’ingresso indiano con quello pakistano, anche se i due paesi dell’Asia meridionale condividono una delicata linea di confine a cavallo della quale non mancano le schermaglie armate. Dall’operazione Pechino guadagnerebbe la normalizzazione della posizione pakistana (e dunque si toglierebbe dall’imbarazzo di chiuderci affari) e non si inimicherebbe del tutto l’India, evitando il rischio che Delhi passi completamente sotto l’orbita americana.

UN PO’ AFFARI REGIONALI, UN PO’ STABILIZZAZIONE GLOBALE

Kerry da Pechino ha chiesto alla Cina di impegnarsi insieme agli Stati Uniti e al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per alzare le sanzioni alla Corea del Nord (i cinesi sono membri permanenti con diritto di veto, usato già in passato) e giocare l’ascendente che i cinesi sono gli unici ad avere nei confronti di Pyongyang per scoraggiare Kim ad altri passi verso la bomba atomica. Washington chiede ai cinesi di porre un freno al Nord, che non solo sul piano atomico si sta configurando sempre più come stato canaglia: due esempi, passa armi al regime siriano senza il minimo scrupolo (sono poi finite in mano allo Stato islamico), deruba gli istituti di credito con attacchi informatici per finanziare le casse statali.

UN ESEMPIO COMPLETO: IL CASO DELL’ACCIAIO

Tra stabilità e governance globale si incastra invece una appello fatto lunedì dal segretario al Tesoro americano Jack Lew, anch’egli a Pechino. Lew ha chiesto al governo cinese di tagliare l’enorme produzione di acciaio immessa sul mercato negli ultimi anni. La maggior parte delle industrie cinesi che lavorano l’acciaio sono statalizzate e sono mantenute a ritmi produttivi molto elevati per tenere alto il Pil e mantenere operativi gli impieghi, ma hanno prodotto un surplus di materiale che ha “distorto”, dice Lew, il mercato. L’industria siderurgica mondiale è stata quella su cui l’inondazione di merci cinesi a atlas_4kZceAERxbasso costo ha prodotto effetti più devastanti, con licenziamenti in massa e chiusura di fabbriche che hanno colpito i paesi di produzione storica, come Giappone e Regno Unito, o Messico e Germania (dove i lavoratori del settore hanno organizzato scioperi contro l’attività cinese). L’acciaio cinese è così a buon mercato che i prodotti sono stati venduti a prezzi più bassi del costo di produzione ha spiegato il Guardian; la US Steel Corporation, azienda di Pittsburg tra le maggiori produttrici al mondo di acciaio, ha chiuso il quarto trimestre del 2015 con un perdita di circa un miliardo di dollari, ha messo i sigilli a uno stabilimento in Alabama, rinviato la costruzione di un nuovo forno e annunciato che potrebbe licenziare il 25 per cento dei propri lavoratori, a causa del calo dei prezzi che nel mercato americano hanno raggiunto il 39 per cento, ha detto a inizio anno l’amministratore Mario Longhi a Bloomberg. Nonostante le promesse dei leader cinesi sull’iniziare revisioni alle produzioni, l’output di marzo ha toccato nuovi livelli record, allargando ancora il gap tra domanda di mercato e offerta disponibile: Pechino inoltre abbina l’offerta all’abbassamento delle tasse sull’esportazioni, falsando ancora di più il mercato globale (alta produzione, prezzi bassi, sconti sull’export). La situazione dell’acciaio è un esempio di come la collaborazione con la Cina abbia un ruolo fondamentale nel nuovo ordine mondiale.

 

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