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Elezioni comunali, ecco come la doppia preferenze di genere ha penalizzato le donne

La questione della parità di genere nei consigli comunali sembrava esser stata definitivamente risolta nella scorsa legislatura dalle “disposizioni per promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali”, la legge che, in pratica, dà la possibilità dalle scorse elezioni europee di esprimere due preferenze, differenti per genere, per il rinnovo delle assise pubbliche.

Ma, come spesso accade in Italia, fatta la legge ecco trovato l’inganno: dalla lettura sommaria dei titoli di giornali sembrerebbe che le donne siano state le più votate nel rinnovo dei consigli comunali, con Mariastella Gelmini e Mara Carfagna miss preferenza a Milano e a Napoli. Ma qui c’è l’errore. Invece di essere miss, sarebbe meglio chiamarle mister preferenza.

Ecco spiegato il perché:

A Napoli la capolista ed ex titolare del dicastero delle pari opportunità Carfagna raccoglie ben 6.109 preferenze, ma dietro di lei arrivano ben sei uomini. Bisogna scorrere fino all’ottava dei più votati della lista di Forza Italia (e quinta dei non eletti in caso di vittoria al ballottaggio di Luigi De Magistris) per trovare una donna. In pratica è successo che buona parte dei candidati uomini più quotati al consiglio comunale abbiano sostenuto la parlamentare di Salerno sicuri che non sarebbe stata una competitor per il seggio in comune (difficile che la responsabile delle libertà civili e diritti umani di Forza Italia opti per lasciare Montecitorio), drenando tante preferenze che potevano andare ad altre candidate del gentil sesso e felici di sostenere una candidata con buoni agganci a Roma.

Risultato: se De Magistris vince il ballottaggio e la Carfagna opta per rimanere alla Camera i candidati eletti da Forza Italia saranno 4 uomini su 4. Se invece vince Lettieri gli eletti uomini saranno 9 su 12.

Stesso discorso a Milano per la stessa lista: l’ex ministro Gelmini doppia il secondo della lista (11.990 preferenze rispetto alle 5.512 del consigliere uscente Pietro Tatarella) ma questo porta ad indebolire il risultato delle altre donne presenti in lista che non hanno potuto fare il ticket con i primi degli eletti, facendo in modo che in caso di elezione di Beppe Sala il bottino di eletti di Forza Italia (includendo Stefano Parisi) sia di 7 uomini su 8, mentre nel caso di vittoria del candidato di centrodestra il dato sarebbe ancora più eclatante con 15 uomini eletti e una sola donna.

Ma non solo in Forza Italia le candidature “forti” del gentil sesso hanno penalizzato le altre aspiranti agli scranni comunali. Questo è avvenuto sempre a Milano con la candidata pentastellata Patrizia Bedori (che aveva vinto le comunarie, ma che ha lasciato la candidatura a sindaco a Gianluca Corrado, ne avevamo parlato qui) che ha raccolto quasi quattro volte il numero dei voti del secondo (1.286 preferenze rispetto alle 330 di Simone Sollazzo), bloccando il passo ad altre donne e diventando l’unica donna dei 5 stelle che siederà a Palazzo Marino.

È quindi necessario raffreddare l’entusiasmo degli ultras della parità di genere alla luce dei risultati (per alcuni versi un boomerang) di questa prima applicazione della legge sulla parità di genere per le elezioni amministrative, magari pensando di cambiare questa disposizione in senso liberale, non dando la possibilità di esprimere un doppio voto solo se si sceglie un uomo e una donna.

Ma intanto qualcuno guarda ancora più lontano: per Vladimir Luxuria e i Radicali la nuova norma non è “transgender friendly”. Ma, almeno questa fattispecie, non è stata determinante nell’ultima tornata elettorale.

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