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Iperfinanza e ipoproduttività, che la ricostruzione sia con noi

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Giovedì 23 giugno a Roma, presso la sala stampa della Camera dei Deputati, ha avuto luogo la presentazione del testo “IPERFINANZA E LAVORO PRODUTTIVO”.

Un interessante confronto che ha visto alternarsi varie personalità in ambito economico-finanziario, giornalisti, esperti di relazioni internazionali e rappresentanti del Governo, come Alberto Bagnai (economista), Lelio Gavazza (Regional Managing Director EMEA di Bulgari), Davide Giacalone (Saggista), Lucio Malan (Senatore), Vladimiro Giacchè (Saggista), Nicola Morra (Senatore), Ivan Rizzi (Presidente IASSP), Mario Sechi (saggista e giornalista), Gianluca Susta (Senatore) e Filomena Tucci (membro del consiglio direttivo dello IASSP).

Un testo fortemente voluto e realizzato dall’Istituto IASSP ‒ Istituto Alti Studi Strategici e Politici, seconda tappa di un percorso iniziato il 19 novembre 2015 con il convegno “Lavoro produttivo e interesse finanziario”, patrocinato dalla Regione Lombardia. I numerosi contributi racchiusi nel testo permettono un’analisi corale, unica nel suo genere, grazie all’avvicendarsi di personalità di spicco, da Pier Carlo Padoan (Ministro dell’Economia e delle Finanze) a Raffaele Tiscar (Vice Segretario Generale del Governo), da esponenti del mondo dell’imprenditoria italiana come Alberto Alfieri (A.D. Cesare Fiorucci) ad intellettuali come Diego Fusaro e Vladimiro Giacchè.

Proprio per approfondire il tema del complesso rapporto tra finanza e economia, abbiamo rivolto alcune domande al Dott. Marco Franco, segretario generale dello IASSP.

Buongiorno Dott. Franco, la ripresa economica, in particolare quella italiana, stenta a decollare. In questo clima di sfiducia generale, quale ruolo ha la finanza?

Siamo così abituati a parlare di ripresa che quasi non ci si accorge della perdurante stagnazione, definita dagli economisti con un aggettivo inquietante nella sua tragica realtà: secolare. Cosa significa questo? Che tutte le misure adottate di politica monetaria sono state assolutamente insufficienti e che la parola “ripresa” tormenterà ancora per molto le nostre orecchie e il nostro stato d’animo. La finanza è un coltello difficile da maneggiare, ha ruoli e responsabilità ambivalenti. I suoi punti di forza per il sistema produttivo italiano, che ha necessità impellenti di sostegno finanziario per reggere e cavalcare un mercato sempre più competitivo e tecnologicamente avanzato, possono però trasformarsi in derive speculative, che invece di rafforzare l’economia la svuotano e la snaturano ulteriormente.

Il 23 giugno 2016 ha segnato anche un passaggio storico, in quanto la Gran Bretagna ha deciso per lasciare un’Unione Europea. Che riflessioni impone questo esito referendario?

Cito un passaggio contenuto nel testo, in cui il Ministro Padoan sottolinea quanto la sfida imposta dall’attuale periodo sia una sfida non solo italiana ma soprattutto europea: «L’Unione europea corre maggiori rischi di stagnazione secolare rispetto agli Stati Uniti a causa del più avanzato invecchiamento demografico, del più basso tasso di innovazione e di un sistema finanziario più frammentato». L’Unione europea è un po’ come la finanza, un gioco tra poteri forti e parziali, umorali molte volte come l’andamento delle Borse. Da potenziale punto di forza si è via via disegnata sempre più come l’ennesimo capestro, assolutamente non all’altezza del suo compito originario. Una macchina burocratica piena di diktat, insomma molti doveri e pochi benefici, o meglio, molti doveri per alcuni e molti benefici per altri. La mancanza di trasparenza dei meccanismi decisionali alla base dell’Unione scatena l’euroscetticismo, siamo in balia di un’élite transnazionale rappresentativa di poteri forti assolutamente parziali, che va avanti a suon di austerity. Questo non è un bene, alla nostra economia serve ossigeno e non camere a gas.

Quale lo scenario futuro che si va delineando, anche alla luce dei contributi contenuti nel libro?

Lo scenario che si va delineando è veramente complicato, si deve pertanto avere la capacità di guardarlo con coraggio e lucidità. Il nostro Istituto è nato e vive proprio per questo, per incidere oggi sul futuro di domani, offrendo gli strumenti essenziali per diventare creatori di valore, promuovendo il dialogo con tutti coloro che, a più livelli e in più settori, avvertono l’urgenza di un cambiamento. Una ricostruzione a volte è possibile solo smantellando ciò che non è più funzionale, non abbiamo bisogno né di cannibali né di parassiti, nuovi o vecchi.

Rimanendo al rapporto finanza/economia, il nostro presidente Ivan Rizzi ha bene evidenziato come al giorno d’oggi le chances della finanza debbano essere di acceleratore dello sviluppo, quindi una opportunità data dalla «convergenza delle proprie competenze con l’impianto dell’Information Communication Technology, soprattutto con il suo predicato di istantaneità»; solo così diviene un bene «una razionalità comparata imprescindibile». La realtà è complessa, ma molte volte questa complessità disorienta e diventa volutamente fuorviante. Urge semplificare, che non significa banalizzare come invece spesso accade. La finanza, quindi, quando svolge il suo ruolo primario, semplificando l’accesso al credito, impiegando fondi per sostanziare nuove idee, assicurando consistenza e durata alla fattività, non è “malattia” ma «una forma della perpetua intelligenza performativa del divenire dell’umano».

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