Difende con forza la sua riforma dei porti, “attesa da vent’anni”, il ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio. “In un anno abbiamo fatto passi da gigante”, ha detto ieri davanti ai senatori riuniti della Commissione Lavori Pubblici del Senato e “andremo in porto entro l’estate” per recuperare tutto il tempo perduto. E così i 54 porti gestiti in precedenza da 23 autorità, “spesso in conflitto tra loro” si ridurranno inevitabilmente a 15 con accorpamenti che hanno fatto storcere il naso a qualcuno ma che il Ministro difende anche perché ci sono accordi “con le Regioni perché tutto proceda nel migliore dei modi”.
Delrio è stato chiaro: la riforma non può essere smantellata. Si ascolteranno le ragioni di tutti, ma la direzione intrapresa non si può modificare. “Manterremo l’impegno assunto con le Regioni che ha portato all’intesa” ma “faremo di tutto per evitare che qualcuno ecceda” e “spingeremo perché si facciano le aggregazioni”. Non a caso il ministro ha parlato del regime transitorio per la riduzione delle Autorità portuali. Per chiedere che non avvengano gli accorpamenti dovrà essere presentata un’istanza con motivazioni al ministero dei Trasporti che poi valuterà la richiesta. Secondo Delrio però “bisogna impedire che questo diventi l’occasione per svuotare di significato il tema degli accorpamenti delle Autorità portuali”. Insomma questa volta non prevarrà la “logica dei campanili” semmai si punta a recuperare un gap infrastrutturale che pesa sull’intero comparto.
“Abbiamo solo quattro interporti su venti che lavorano – ha sottolineato il ministro – gli altri potrebbero fare molto meglio. Esiste il tema dei ‘retro-porti’ e della loro logistica, per questo abbiamo stabilito un tavolo di lavoro al ministero che studia le sinergie potenziali da mettere in atto”. Per questo Delrio ha sottolineato come “per far ripartire gli investimenti, migliorare il coordinamento e sburocratizzare bisognava non guardare in faccia a nessuno”. Anche perché mentre il mondo nel frattempo ha visto raddoppiare il canale di Suez, il porto del Pireo diventare la base logistica della Cina nel mediterraneo e Rotterdam in Olanda essersi trasformato nel primo hub europeo. Tutto questo mentre “i porti italiani hanno arrancato con poche e rare eccezioni”. E in questi anni a pesare sono state di più le inefficienze che un report di Cassa Depositi e Prestiti ha stimato “in un gap annuale di competitività logistica di 12 miliardi di euro”, con le stesse aziende italiane che finiscono per scegliere i porti esteri per la movimentazione dei loro carichi. Una riforma agognata, quindi, che entrerà in vigore a settembre, dopo i pareri delle commissioni di Camera e Senato.
“C’è quasi un miliardo di euro” stanziato, ha ricordato Delrio, “per il potenziamento dei corridoi per il trasporto delle merci”. In particolare per la zona “tirrenica” e quella “adriatica” che “siano in grado di effettuare i trasporti”. Uno sforzo che serve a rilanciare le nostre infrastrutture marittime con un occhio di riguardo anche al tema del personale anche se il ministro ha ricordato come “non si possono applicare” ai dipendenti delle Autorità portuali le regole del pubblico impiego. “Hanno contratti di tipo privatistico” e questo “profilo va tutelato. Non possono essere equiparati ai dipendenti pubblici”. Ma l’intenzione è di fare una riforma che sia a somma positiva, cercando di non lasciare per strada, o per mare, nessuno.
Per questo il governo va avanti a tappe forzate. Entro l’estate arriveranno le nomine dei futuri presidenti delle autorità portuali, con Delrio che in audizione ha precisato che ci sarà una stretta in riferimento ai presidenti in scadenza e quelli che non potranno continuare a presiedere le Autorità viste le nuove regole dettate dalla riforma Madia sugli incarichi ai pensionati inserite nel disegno di legge delega sulla pubblica amministrazione. Ci saranno molte resistenze al riguardo – sono convinti dallo staff del ministro – anche per rendite di posizione garantite da anni di “non governo”, ma indietro non si torna. Questo Delrio l’ha fatto capire chiaramente.
Intanto è arrivato il parere del Consiglio di Stato allo schema di regolamento del ministero delle Infrastrutture. Nel parere viene sottolineata l’importanza di “garantire la più ampia applicazione dei principi di trasparenza, non discriminazione e concorrenza” in un settore, quello portuale, rimesso per decenni alle troppe scelte discrezionali delle singole Autorità. Occorre superare una procedura che risale al 1952 e che prende le mosse dall’istanza del soggetto interessato al rilascio (o al rinnovo) della concessione, concedendo agli altri soggetti interessati solo la possibilità di opporsi in un breve termine. Con un nuovo meccanismo, competitivo e aperto – ritiene il Consiglio di Stato – si possono offrire ai porti italiani maggiori opportunità di investimento, in una logica non di perpetuazione dell’esistente, ma di spinta a una maggiore efficienza dei concessionari. Ciò è anche in linea con la recente riforma della governance delle autorità portuali di cui al parere n. 1142 del 9 maggio 2016 dello stesso Consiglio di Stato. Permangono, inoltre, alcune altre criticità: il parere ha infatti ritenuto necessario fissare i livelli minimi dei canoni dovuti dai concessionari, e individuare criteri per la durata delle concessioni.