La cooperazione in Italia fu cattolica e socialista e poi, nel secondo dopoguerra, a questo filone si aggiunse, sotto le spoglie di un riformismo dal vigore filosovietico, il cooperativismo di matrice comunista, che fu, in questo campo, anch’esso un grande elemento di modernizzazione e di liberalizzazione delle classi meno abbienti dall’oppressione della miseria.
La corrente repubblicana cooperativa, che si fa valere ancor oggi, e che è certo la più vicina al liberal-social-cooperativismo, fu ed è sempre – e da sempre – una costola minoritaria del movimento cooperativo italiano e internazionale. Di più. La vicenda delle banche popolari documenta anche una eterogenesi dei fini culturali che varrebbe la pena ripercorrere un giorno o l’altro…
L’influenza culturale predominante passò, via via, nel tessuto, nell’ordito associativo delle banche popolari, dalle trame liberali luzzattiane a quelle cattoliche, a quelle trame – intese come architetture dell’ordito del tessuto ben s’intenda – che dal secondo dopoguerra in poi candidarono la Democrazia Cristiana – dopo Camaldoli – e la cultura tutta fatti del movimento cattolico tout court “collaterale” o non al partito – sino all’implosione del sistema politico degli anni novanta del novecento – a essere i veri eredi, se non del pensiero, certo dell’azione luzzattiana, costruendo quel patrimonio culturale e morale, di libertà – e questo va fortemente sottolineato – che consente ai giorni nostri di avere fede nell’azione delle banche popolari. E questo perché più legate al territorio, ai soci, ai clienti anche nelle procelle di una depressione economica che sarà la peggiore, quale da più di un secolo non si ricordi (la depressione mondiale del 1907, appunto).
Luigi Albertini figura ora, grazie a questo lavoro che ho l’onore di presentare al lettore, in questo palcoscenico ricco di quinte, di scenografie, di attori e di soprani e di tenori e anche di macchinisti di scena, tutti fantastici, come un apprendista che sul bancone della vita cooperativa muove i primi passi del suo mestiere di giornalista. Guarda il mondo dall’alto di una cultura non nazionale ma europea, anglosassone in primis.
Con questo bagaglio cooperativo, pensate un po’, si avvierà a dirigere da par suo il giornale della borghesia italiana pour excellence nel periodo che va dall’ascesa civile liberale ai tempi dell’interrotta di una fragile e breve democrazia, colpita nel suo primo vagito dal maglio della dittatura. La cooperazione resisterà.