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Perché ora la Brexit fa paura (anche all’Italia)

Dunque è Brexit e la Brexit adesso fa paura. Fa paura alle borse che hanno già cominciato il loro rally verso il venerdì nero. Fa paura a David Cameron che ha perso la sua azzardatissima sfida e ha annunciato le dimissioni (non aveva torto Mario Monti nel criticarlo, non avevano torto quelli che a Bruxelles lo consideravano un pazzo, un cretino o tutte e due le cose insieme). Fa paura a chi lascia e forse ancor più a chi resta, non solo perché come scrive il Financial Times questo sarà il divorzio più difficile della storia, ma anche perché non è davvero facile capire che fare, come trattare adesso la Gran Bretagna.

Che la paura sia il sentimento dominante lo dimostra anche il repentino voltafaccia di Beppe Grillo che nel corso di una notte non solo non è salito sul carro del vincitore, ma ha mollato il vecchio alleato Nigel Farage. Vedremo se e quanto durerà e cosa dirà la rete che naturalmente è sovrana come il popolo di Rousseau, ma solo dopo che il capo ha preso le sue insindacabili decisioni. Grillo si fa governo (o almeno questo è il suo obiettivo), lui e/o chi per lui, tutti i borghesi gentiluomini che adesso lo coccolano, tutti i lorsignori che affollano ormai il taxi a cinque stelle, gli hanno detto che così non si fa. Sulfurei contro “la casta” incarnata nel Pd, va bene, ma meglio tenere a debita distanza le Marine Le Pen, i Farage, i Gilders & Co.

Al di là delle complicatissime questioni tecniche, al di là delle borse, l’effetto più importante sarà quello politico. Si innescherà a questo punto una reazione a catena? A primavera si voterà in Olanda e la destra di Gilders ha il vento in poppa, poi tocca alla Francia dove il Front National rulla i suoi tamburi di guerra e pesca a sinistra, nella rivolta contro la riforma del mercato del lavoro; nell’autunno 2017 andranno alle urne i tedeschi: finora non si vedono alternative ad Angela Merkel, dove cresce l’AfD pescando anch’essa da tutte le parti, in particolare tra la piccola borghesia che non vuole pagare per la Grecia e per l’Italia. E poi nel frattempo è molto probabile che voterà l’Italia, molto dipende da quel che accadrà in ottobre con il referendum costituzionale. Qui il pescatore è Grillo il quale, tentato da un’alleanza con Salvini, quando ha visto che il leghismo-lepenismo non tira, lo ha scaricato. Sarà lui il collettore dello scontento, ma anche l’alternativa alla sinistra di governo, visto che una destra di governo non c’è ancora (in Forza Italia come nel Pd gli odi reciproci si sono scatenati ed è cominciata la guerra a Stefano Parisi l’unico che abbia evitato la catastrofe).

La questione principale adesso è che fare con i britannici. La tentazione, espressa da Juncker, da Berlino e, apparentemente, da Parigi, è tagliare subito ogni legame. Chi è fuori è fuori e per sempre. Una lezione, una punizione, che serva da monito a chi abbia in mente di seguire l’esempio inglese. E’ un atteggiamento comprensibile e giusto nei confronti di chi si sbatte per salvare l’Europa e l’euro. Ma attenti. In politica e soprattutto in politica internazionale le punizioni esemplari provocano l’effetto opposto. Proprio i tedeschi, almeno quelli che conoscono la storia, memori del trattato di Versailles e delle condizioni imposte dopo la sconfitta nella prima guerra mondiale, dovrebbero saperlo bene. Certo, sarà difficile trovare il punto di equilibrio tra sanzione e gestione razionale della crisi.

Naturalmente non si può far finta di niente e gli inglesi non possono fare i furbi con un piede dentro e uno fuori. Un esempio potrebbe essere la Norvegia la quale, però, accetta di pagare diversi biglietti per partecipare al cerchio più esterno di una Europa ormai chiaramente a cerchi concentrici. Proprio questo può essere il modello da perseguire fino in fondo. Tedeschi e francesi rilanceranno l’ipotesi del nocciolo duro, la Kerneuropa come la chiama Schaeuble che per primo ne parlò nel lontano 1994. Se sarà così si porrà per l’Italia un dilemma complesso: far parte del primo cerchio anche se il paese non è pronto economicamente e politicamente? Oppure restare nel secondo cerchio candidandosi a fare da ponte con una Gran Bretagna amica e che ci conviene tenere agganciata? La prima soluzione è quella dell’orgoglio nazionale anche contro la ragione, la seconda è quella della ragione mettendo l’orgoglio tra parentesi. Non è facile scegliere, ma non sarebbe male che le forze politiche più ragionevoli si ponessero il problema cominciando a discuterlo in modo aperto.

Anche perché non c’è solo Berlino, anzi saranno i mercati i primi a parlare. La lancetta dello spread salirà e vedremo quanto. Ma è molto probabile che aumenterà la pressione affinché l’Italia riduca subito il debito che rappresenta la principale fonte di rischio finanziario per l’area euro. Su questo la Bundesbank e la Bce, Weidmann e Draghi la pensano allo stesso modo. Ciò vuol dire addio alla flessibilità e ritorno all’austerità? Probabilmente no, in Germania sono ormai numerose, anche nella classe dirigente, le voci di chi si rende conto che il modo migliore per disinnescare la bomba sociale che diventa politica è consentire che l’area euro cresca a passo più accelerato, il che vuol dire aiutare i paesi del sud, soprattutto l’Italia che è di gran lunga il più grande e più importante. Tuttavia il debito, la sua dinamica e lo stock accumulato nei decenni, diventa giocoforza la priorità della politica fiscale. Quindi bisognerà trovare strumenti seri per aggredire la montagna che schiaccia il paese. Padoan lo capisce molto bene anche se non lo dice (ancora) apertamente. Speriamo che riesca a convincere anche Matteo Renzi  in tutt’altre faccende affaccendato.


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