Intorno alle 22 (ora locale) di martedì sera c’è stato un attacco terroristico all’aeroporto di Istanbul, nel quale sono rimaste uccise oltre trenta persone e ferite un centinaio; diverse sono in gravi condizioni, e dunque il bilancio definitivo potrebbe aggravarsi. È stato un altro duro shock per la Turchia: l’attento al principale aeroporto di Istanbul e del Paese ha colpito civili e poliziotti, squarciando il sistema di sicurezza dello scalo, e inoltre ha dato un’altra spallata al settore turistico, tra i punti di forza dell’economia nazionale (che dopo il boom di un decennio fa, ora si trova in una fase di rallentamento).
DIVIETI DI VIAGGIO E ASSENZA DEI RUSSI
Ai dati dell’Istituto per statistica turco (Tuik), che avevano già riportato un calo complessivo dei ricavi del 14,3 per cento dopo il terzo trimestre 2015, si aggiungono quelli rilasciati proprio martedì, poche ore prima dell’attentato, dal ministero del Turismo: meno 34,7 per cento con il mese di maggio, il tonfo peggiore degli ultimi trent’anni. Il calo del turismo è fortemente collegato agli attentati subiti dal paese nell’ultimo anno e mezzo per mano sia dei terroristi islamici sia dei combattenti separatisti curdi del Pkk; il giorno precedente all’attacco all’aeroporto Ataturk, il dipartimento di Stato americano, per esempio, aveva aggiornato un travel warning alzato a marzo, con cui sconsigliava gli americani di recarsi in vacanza in Turchia per ragioni di sicurezza. Oltre al terrorismo, anche la crisi dei rapporti con la Russia ha influito nella contrazione del settore: negli ultimi sei mesi l’opera di dissuasione di Mosca verso i propri cittadini ha fatto mancare gli oltre tre milioni di russi che annualmente battevano le località turche, beneficiando di offerte convenienti sui pacchetti di viaggio frutto anche della partnership commerciale tra i due paesi (nello stesso periodo è stata la Grecia a sfruttare la situazione: quando venerdì Vladimir Putin s’è recato ad Atene, il primo paese europeo visitato dopo che le relazioni con l’UE sono arrivate ai ferri corti per la crisi ucraina, s’è visto presentare gli enormi dati degli ultimi mesi, che parlano di un incremento di oltre il 500 per cento di turisti russi nel paese).
LA SVOLTA NELLA CRISI RUSSIA-TURCHIA
La minaccia attentati diventa un peso ulteriore ora che la situazione dovrebbe migliorare, perché Ankara e Mosca hanno avviato una riconciliazione, dopo che, con l’abbattimento del Sukhoi russo da parte di due caccia turchi avvenuto nel novembre scorso, i rapporti avevano avuto toni guerreschi (rimane da chiarire se ci sarà un risarcimento economico, come annunciato dalle tv statali russe, oppure no, come controbattono quelle turche; è sempre complicato comprendere la verità in situazioni del genere, dove l’informazione assume i toni della propaganda). Il problema di fondo, al di là della vicenda specifica che ha fatto da casus belli, è la posizione all’interno del conflitto siriano: la Russia è la principale forza che sostiene e dà flebile speranza al regime siriano di Bashar el Assad, mentre la Turchia quell’altrettanto flebile speranza la dà sotto forma di rifornimenti d’armi e logistica ai ribelli che Assad lo vorrebbero morto. Due posizioni che sembrano inconciliabili: il governo di Ankara, dopo aver inviato una lettera di rammarico (non di scuse, precisano i turchi) a Mosca, spera in una normalizzazione dei rapporti rapida, ma dal Cremlino sembrano più cauti, “non si può pensare di farlo nel giro di pochi giorni” ha detto il portavoce Dmitri Peskov. Però entrambi i paesi hanno tutto l’interesse a ricucire lo strappo e riaprire i propri rapporti economico-commerciali.
LA TELEFONATA
Oggi, mercoledì 29 giugno, c’è stata una conversazione telefonica tra il presidente turco Recep Tayyp Erdogan e Putin, un passaggio importante per la riconciliazione, ma l’attentato di martedì sera a Istanbul ha rubato attenzione a questo progresso diplomatico; tra i primi effetti della conversazione tra i due leader, la decisione russa di togliere ai propri cittadini il divieto di viaggio in Turchia. E forse è stato anche questo il fine dell’attacco all’aeroporto: togliere la scena principale a questo processo di normalizzazione della Turchia, e allo stesso tempo toglierne anche all’altro, altrettanto cruciale, chiuso martedì con Israele. Israeliani e turchi avevano ufficialmente bloccato le relazioni per la vicenda della “Navi Marmara“, la nave della Freedom Flotillia che aveva violato il blocco su Gaza per portare aiuti umanitari e che per questo era stata attaccata il 31 maggio del 2010 da un gruppo di incursori degli Shayetet 13 israeliani: nel raid furono uccisi nove membri dell’equipaggio turchi, tutti operatori umanitari.
L’ERDOGAN DIPLOMATICO
La politiche di riavvicinamento di Erdogan sono una necessità per evitare il completo isolamento e mostrare alla Comunità internazionale un volto più conciliante, ripulendo la sua immagine autocratica: “La Turchia sta attraversando un profondo senso di isolamento negli ultimi anni: dopo aver passato dalla famosa politica dello zero problemi con i vicini, s’è ritrovata in un posto dove non aveva vicini senza problemi”, ha detto al New York Times Asli Aydintasbas, analista del think tank americano Council on Foreign Relations. La nuova via diplomatica di Erdogan creerà interessi a vicenda per la Turchia e per i suoi neo-partner: potrebbero tornare i turisti russi, per esempio, e poi potrebbero ripartire i lavori per il Turkish Stream (il gasdotto di Gazprom che collegherà Russia e Turchia attraverso il Mar Nero, su cui tutto è stato sospeso dopo l’abbattimento del jet russo) e Ankara potrebbe diventare una sorta di hub energetico nel Mediterraneo orientale facendosi anche da sponda per lo sfruttamento dei giacimenti israeliani. Altro esempio: il riavvicinamento ufficiale con Gerusalemme era stato preceduto da un incontro molto meno pubblicizzato tra il presidente turco e il ministro dell’Energia israeliani Yuval Steinitz (la società privata turca Zorlu Enerji ha già firmato a gennaio, insieme al gruppo israeliano Edeltech, un contratto di 1,3 miliardi di dollari con la texana Noble Energy Inc., per lo sfruttamento di gas naturale dei giacimenti di Leviathan e Tamar). Altro aspetto: le tv di stato dicono che l’Iran ha chiuso un accordo di cui si parla da tempo con l’Egitto per lo sfruttamento dell’oleodotto Sumed che parte da poco a sud di Suez e arriva fino ad Alessandria, aprendo la strade per i mercati europei; Gerusalemme vira verso Ankara anche per bilanciare la partnership Cairo-Teheran, dove con i primi è in concorrenza per i pozzi mediterranei e con i secondo ha divisioni esistenziali.
LA TURCHIA È APPETIBILE PER I TERRORISTI
Questo impasto di cose rende la Turchia ancora più appetibile per gli attentatori, soprattutto quelli dello Stato islamico che colpendo sul suolo turco si vendicherebbero contro le operazioni anti terrorismo di Ankara (che, checché se ne dica, adesso, sotto le pressioni americane, è diventata molto aggressiva verso i baghdadisti), colpirebbero indirettamente i suoi collegamenti con Israele e Russia (nemici giurati dei baghdadisti) facendolo diventare un partner instabile vanificando per certi versi gli sforzi diplomatici di Erdogan, sfascerebero un’altra componente nevralgica dell’economia turca, il turismo, mostrandosi forti e combattivi agli occhi degli indispensabili proseliti nonostante le contrazioni nel nord della Siria e in Iraq (o in Libia). La narrativa califfale potrebbe consegnare ai seguaci da indottrinare anche l’aspetto simbolico della “guerra contro Costantinopoli”, disco fisso della propaganda. Se però si esclude quest’ultima componente ideologico-religiosa, va considerato che colpire gli interessi economici turchi per destabilizzare l’economia e il governo potrebbe essere anche un obiettivo goloso per i curdi combattenti del Pkk.