Anche se fuori stagione, essendo ormai in estate, alle prese col caldo ch’essa comporta, c’è qualcuno che ha salutato l’arrivo di una rondine festeggiando la primavera. Cioè, trovando segni di una svolta politica, in funzione di una rinnovata intesa fra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, nello “scambio di favori” che i due, a distanza, si sarebbero fatti attraverso i loro uomini in Parlamento. Di cui entrambi non fanno parte: il primo per non essere stato eletto, arrivando a Palazzo Chigi direttamente da Palazzo Vecchio, dove siede il sindaco di Firenze, e il secondo per esserne stato allontanato tre anni fa, dopo una condanna definitiva per frode fiscale, e con l’applicazione a dir poco forzata della cosiddetta legge Severino.
A forzare quell’allontanamento furono anche le modalità della votazione cui si fece ricorso nell’aula del Senato: a scrutinio palese, come voleva per primo il presidente dell’assemblea Pietro Grasso, e non a scrutinio segreto, come avrebbe voluto il buon senso, essendo in gioco una persona e non, come si pretese, una cosa o una istituzione. Si evocò in quel caso la tutela del plenum dell’assemblea di Palazzo Madama. Astruserie che si può permettere solo un sistema come quello italiano, fra una Costituzione che per fortuna ha finito da un po’ di essere “la più bella del mondo”, a meno che un referendum fra qualche mese non ne bocci la riforma, e regolamenti parlamentari che si applicano spesso con la volubilità di tutte le decisioni politiche, adattando le norme alle convenienze del momento avvertite da chi è in maggioranza.
La primavera, per tornare al discorso di partenza, consisterebbe nel fatto che in Parlamento anche quel che resta di Forza Italia, dopo i tanti abbandoni degli ultimi anni e mesi, ha votato il documento della maggioranza sulla linea che il capo del governo, in quel momento peraltro in partenza per un vertice a Berlino, si è data per la partecipazione al primo Consiglio Europeo di Bruxelles dopo la clamorosa vittoria referendaria della Brexit.
A questa cortesia, non so francamente sino a che punto digerita da uno con lo stomaco politico del capogruppo forzista alla Camera Renato Brunetta, arrivato a protestare in televisione per la mancata presentazione di un finanziere ormai arcinoto qual è Davide Serra come amico di Renzi, il presidente del Consiglio e segretario del Pd ha fatto rispondere dalla maggioranza votando il documento predisposto e firmato da un consigliere di Berlusconi, ma anche dai leghisti. Che pure hanno notoriamente pareri, e non solo umori, diversi da Berlusconi sui temi europei, specie ora che si sono complicati con l’uscita, sia pure non immediata, della Gran Bretagna, o di quel che ne rimarrà, dall’Unione.
Dietro questo scambio di cortesie parlamentari l’ormai solito direttore del Foglio Claudio Cerasa, nostalgico onestamente dichiarato di quello che fu il Patto del Nazareno, naufragato l’anno scorso con l’imprevista elezione di Sergio Mattarella al Quirinale, ha visto tracce o semi di una nuova “grande coalizione”. Come esiste già in Germania e come forse si dovrà fare anche in Spagna, visti i risultati delle elezioni appena ripetute in quel Paese.
Chi vivrà, vedrà naturalmente. E verificherà anche un’altra sensazione avvertita da Cerasa, a dispetto delle smentite opposte a simili voci da ambienti più o meno di governo: quella di un rinvio del referendum sulla riforma costituzionale a fine novembre, se non ancora più avanti, per metterne l’esito, in caso di bocciatura, al riparo dal rischio di non potere approvare nei termini dovuti di fine anno quella che dovrebbe essere l’ultima edizione della legge finanziaria. Dalla quale si vorrebbe praticamente tornare alla vecchia e forse più lineare approvazione del bilancio dello Stato.
Chi vivrà, ripeto, vedrà. Così come vedrà, sul fronte opposto, gli sviluppi della tanto attesa e decantata evoluzione del movimento grillino dopo la sbornia –temo- procurata ai pentastellati dalla conquista di Comuni anche importanti come quelli di Roma e Torino. Che potrebbero rivelarsi le nuove rampe di lancio dei grillini, o come diavolo preferiscono essere ora chiamati, specie nella dissestata Capitale d’Italia, ma anche le loro fosse, d’altronde temute da quella deputata del movimento 5 Stelle che parlò nei mesi scorsi di una “congiura” ordita per fare arrivare Virginia Raggi in Campidoglio. Dove la nuova sindaca, o sindachessa, si è affacciata sui fori mozzafiato con lacrime dettate non so, francamente, se più dall’emozione o dalla paura.