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Storie di ordinarie follie burocratiche

Corrado Sforza Fogliani, banche popolari, assopopolari

Quelli che Stefano Caviglia racconta in questa pubblicazione sono fatti incredibili, inconcepibili, ma veri. Capitati a lui personalmente.

Sono fatti che succedono tutti i giorni, o quasi. Ma questa volta sono successi a un giornalista di prestigio, che sa raccontarli in un libro che avvince (di quelli che spiace leggere perché si pensa che, pagina dopo pagina, finiranno, e che poi non si avrà più il piacere intellettuale della lettura, libri che quindi – illudendosi che si possa farli non finire mai – si centellinano, come un vino impreziosito dal tempo, raro).

La realtà descritta è una realtà romanzesca, da ottocentesco romanzo d’appendice. Una realtà mai seriamente affrontata, per la quale si è continuato (e si continua) a mettere la testa sotto il cuscino (per far finta di non vedere e di non sapere), per la quale si sono – al più – varate soluzioni facili, abbreviate, inventate dall’oggi al domani e subito messe in condizione di non nuocere da interessati superburocrati, ciascuno dei quali coltiva un proprio orticello di competenza, come se fosse un tesoretto, ignari tutti colleghi in primis.

Ma Luigi Einaudi ci ha insegnato che le vie brevi (per quanto, ovviamente, siano per lo più – ma non è detto… – sempre meglio di niente) non hanno mai realmente risolto alcun problema, spesso servono solo a metterlo sotto il tappeto, fino a quando sarà passato di moda il parlarne e lo scriverne.

L’esperienza, d’altra parte, non ha mia giovato ad alcuno (Einaudi, ancora), ma non per questo si deve disdegnare dall’affrontare (e dal varare) soluzioni radicali e innovative, a cominciare da selettive selezioni meritocratiche (come si fa nel privato) e dal legare la burocrazia al ciclico cambiamento, esattamente come si fa – e per intero – negli Stati Uniti (quando cambia il Presidente, cambia l’ “amministrazione”, così che egli non debba misurarsi – a livello di dirigenti – con “collaboratori” scelti da altri e sia responsabile di quelli che si è scelto, quantomeno in eligendo).

La situazione che Caviglia descrive con la precisione di un notaio, va cambiata. Oramai, condiziona il nostro futuro. E non c’è neanche tanto tempo da perdere, “siamo agli sgoccioli”.

Con tutte le corporazioni che ci ritroviamo nel (e che interferiscono col) lavoro pubblico, non sarà facile, ci vuole – tra l’altro – coraggio, e volontà (virtù non molto diffuse, in un’epoca intrisa fino alle midolla di un egoistico buonismo, non toccare nessuno perché nessuno tocchi me…, nell’epoca – appunto e al più – dell’imperante “però”: è bravo, bravissimo, anzi, però…).

L’agenda dei lavori, se non altro, c’è già: è questa pubblicazione, piena di fatti, tutti incresciosi e altrettanto preoccupanti. Fatti che, a uno a uno, dimostrano l’esistenza di normative inaccettabili, da eliminare o da sostituire con un diverso sistema. Tenendo comunque presente che una delle cose che Caviglia denuncia nel suo libro è la “debolezza dell’opinione pubblica” (che non si fa sentire, né singolarmente né in forme organizzate e autosufficienti, cioè indipendenti).

Metter mano a questa situazione, fare in modo che non capiti più a nessuno quel che è capitato a chi ha descritto queste reiterate avventure, non è affar d’altri. È affare di tutti e di ciascuno di noi.



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