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Tutte le ultime sorprese sui ballottaggi a Roma e Milano

Questa lunga campagna elettorale per le amministrative si è chiusa con le solite, immancabili sorprese, prodotte però più dai giornali che dai protagonisti dei 121 ballottaggi comunali per i quali si sta per votare.

La candidata grillina al Campidoglio, Virginia Raggi, ha dovuto compensare l’aiutino, pur tra smentite e precisazioni,  di Massimo D’Alema, con lo sgambetto tesole dal Fatto Quotidiano, che pure gradirebbe non meno di D’Alema un bel colpo a Renzi, e al suo candidato Roberto Giachetti, nella Capitale d’Italia.

E’ stato appunto Il Fatto diretto da Marco Travaglio a scoprire e denunciare che, oltre alla pratica nello studio legale dell’imbarazzante Cesare Previti e ad un incarico in un’azienda municipalizzata retta a quel tempo da un amico dell’allora sindaco di destra Gianni Alemanno, la Raggi ha evitato di dichiarare per interi i rapporti avuti come avvocato con l’azienda sanitaria di Civitavecchia. Omissioni, queste, che la renderebbero, secondo gli avversari, meno “diversa” da come i grillini pretendono di essere rispetto agli altri attori della politica, al pari dei comunisti negli anni di Enrico Berlinguer, ma anche prima e dopo.

Non so, francamente, se lo sgambetto del Fatto potrà rivelarsi fatale per l’aspirante pentastellata al Campidoglio, visto che lo stesso Travaglio, ospite di Lilli Gruber nello studio televisivo de la 7, ha tenuto a sottolineare, sornione, che quell’incarico nascosto ha fruttato alla candidata meno di duemila euro. Che l’interessata, dal canto suo, ha tenuto a precisare di non avere potuto inserire nell’ultima denuncia dei redditi perché corrisposti troppo tardi.

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Ben più consistente, ma al rovescio, potrebbe essere l’aiutino a Virginia Raggi datole sul filo del traguardo dal Giornale della famiglia Berlusconi, il cui direttore Alessandro Sallusti, deciso a far godere con una bella sconfitta di Renzi il “cuore matto” dell’ex presidente del Consiglio, appena operato a Milano e felicemente convalescente, ha invitato i lettori romani, pochi o molti che siano, ma anche quelli di Torino, a turarsi montanellianamente il naso e a votare per i candidati di Beppe Grillo.

Il primo forse a rimanerne sorpreso è stato un elettore romano come Gianni Letta, reduce da un pomeriggio trascorso con Berlusconi in ospedale per godersi insieme, davanti alla televisione, la seconda vittoriosa partita degli azzurri ai campionati di calcio d’Europa.

Su più di un giornale sono uscite proprio in questi giorni cronache e “retroscena” non smentite secondo cui l’infaticabile uomo di fiducia di Berlusconi si sarebbe prodigato a Roma per far votare il renziano Giachetti, anziché disertare le urne o depositare nell’urna la scheda bianca ufficialmente raccomandata dal leader di Forza Italia.

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Simpatie per Giachetti sono state espresse chiaramente anche dal neo-renziano, ma pur sempre nostalgico delle fortune di Berlusconi, Foglio fondato da Giuliano Ferrara e ora diretto da Claudio Cerasa. Che ha ricordato come quello dei grillini, anche se vestito di abiti femminili, sia “un fungo che trae la sua forza dai peggiori concimi disseminati per l’Italia”.

In ogni caso, temendo pure lui evidentemente un successo della candidata pentastellata a Roma, e forse anche a Torino, Cerasa ha invitato grillini e amici a non montarsi la testa perché nei 121 Comuni in cui si sta per votare solo in 19 è rimasto in corsa il movimento del comico genovese. In 83 è rimasto in corsa il Pd e in 54 il centrodestra, a cominciare naturalmente da Milano. Dove il candidato berlusconiano Stefano Parisi, in odio a Renzi e al suo Giuseppe Sala, si è guadagnato la promessa di voto di elettori come Dario Fo, grillino dalla testa ai piedi, e Antonio Di Pietro. Sì, proprio lui: quello che faceva sognare i giustizieri negli anni delle indagini sul finanziamento illegale della politica, entrate nella storia come Mani pulite.

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L’ultima sorpresa, estranea però alla campagna elettorale, l’ha riservata il presidente del Senato Pietro Grasso proibendo, perché “scollegata da finalità istituzionali”, la presentazione in una sala di Palazzo Madama di un libro appena pubblicato. Tenetevi forte: esso contiene le 45 lettere scritte alla sua compagna Francesca Scopelliti, diventata poi senatrice, dal povero Enzo Tortora, arrestato esattamente 33 anni fa, il 17 giugno 1983, come camorrista. Un’accusa infamante dalla quale il popolare presentatore televisivo sarebbe stato assolto dopo un lunghissimo percorso carcerario e processuale costatogli praticamente la vita, avendo nel frattempo contratto un tumore.

I protagonisti giudiziari di quell’ingiusta vicenda hanno fatto tutti una scandalosa carriera. E Grasso, ex magistrato, ha avuto il coraggio di negare, o far negare, una sala del Senato alla presentazione di un libro simile. Che pena, per non dire peggio.

Scoprire che la Giustizia, con la g maiuscola, sia “scollegata – ripeto – da finalità istituzionali” del Senato è avvilente.


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