Un sondaggio di Bloomberg Politics uscito due giorni fa dice che Hillary Clinton è in vantaggio di circa 12 punti su Donald Trump (49 contro 37 per cento). Il 43 per cento degli elettori americani dice che non voterebbe mai l’ex segretario di Stato, mentre sono il 55 quelli che si rifiutano di votare The Donald (che da un po’ di tempo pare non ami più farsi chiamare così); il dato sale al 63 per cento tra le donne, e resta sulla stessa cifra tra gli under trentacinque e tra coloro che hanno un reddito inferiore ai 5o mila dollari annui.
È il distacco più robusto segnato tra tutti i poll di questo periodo, e secondo gli sviluppatori è molto legato alle dichiarazioni di Trump a proposito del giudice figlio di messicani che emetterà la sentenza su una delle tante beghe legali del magnate newyorchese. Si tratta di una causa contro la Trump University, sostanzialmente ritenuta una frode dall’accusa: Trump sostiene che il giudice potrebbe dare una valutazione diversa dei fatti proprio perché è di origini messicane e dunque avrebbe nei suoi confronti dei pregiudizi; Jake Tapper della CNN durante un’intervista gli ha fatto notare che «sostenere che qualcuno non può fare il suo lavoro per via della sua etnia è la definizione esatta di razzismo». Il 55 per cento degli elettori sondati dalla Bloomberg dicono di essere stati disturbati da questa posizione presa da Trump, altri per le posizioni contro i musulmani, il 62 per cento è disturbato dal suo lessico e dalle definizioni sessiste che hanno accompagnato molti dei suoi discorsi.
La rilevazione condotta dalla società di J. Ann Selzer, che il sito FiveThirtyEight considera la miglior sondaggista politica in America, è la prima i cui risultati arrivano dopo la strage di Orlando (dove, in un esempio di quello che l’islamologo Olivier Roy considera “l’islamizzazione dell’estremismo”, un ventinovenne apparentemente invasato dalla propaganda online dello Stato islamico ha ucciso 49 persone in un gay bar). Trump, dopo essere tornato sul tema “se vinco vieterò l’ingresso negli Stati Uniti ai musulmani“, pare aver incassato qualche dividendo.
Appreciate the congrats for being right on radical Islamic terrorism, I don’t want congrats, I want toughness & vigilance. We must be smart!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 12 giugno 2016
I polls lo considerano un leader più affidabile nella risposta se si dovesse ripresentare, tra un anno, una situazione come quella avvenuta pochi giorni fa in Florida. Secondo Bloomberg su Clinton pesa il fatto che la gente interpreta negativamente il suo ruolo come segretario di Stato, incolpandola delle nuove esplosioni di violenza in Medio Oriente, su tutto dell’evoluzione dello Stato islamico (il 38 per cento degli elettori intervistati la pensa così).
Il dato rispecchia per altro alcune posizioni dell’opinione pubblica americana su argomenti come le limitazioni sulla vendita di armi e su un fatto culturale: Barack Obama non ha definito mai con “Islam radicale” l’attentato di Orlando, Trump aveva detto che era una questione di politically correct che avrebbe resto gli Stati Uniti più deboli, e la gente sembra dargli ragione.
La strategia populista di Trump resta incentrata solo sullo sfondare tra i bianchi poco istruiti della Rust Belt (Pennsylvania, Ohio e Michigan, il cuore del manifatturiero americano, dove la crisi economica e la concorrenza globale – leggasi cinese – hanno spazzato via interi settori, posti di lavoro, benessere economico), ma comincia a perdere qualche colpo. I “white no-college” sono l’unico settore sociale dove ancora mantiene un consenso favorevole, come dimostra un altro sondaggio condotto da Washington Post e Abc, ma la risposta “fortemente sfavorevole sale alle massime percentuali dall’inizio dell’anno.